Árpád Weisz
“…ci fu un altro danubiano, mi sembra si chiamasse Veisz, era molto bravo ma anche ebreo e chi sa come è finito.”
A chiederselo nella prefazione di Millenovecentonove - novant’anni di emozioni, bel volume edito per i 90 anni dalla fondazione del Bologna F.C., era niente meno che Enzo Biagi, addirittura storpiandone il cognome, che era in realtà Weisz.
Non so se il rimpianto grande giornalista sia mai stato consapevole che quella sua semplice domanda avrebbe avuto l’effetto di togliere un velo calato sopra 55 anni di storie e cronache; mi auguro di sì, anche perché qualunque domanda di Enzo Biagi non era mai una domanda qualunque.
Per suggerire la portata del personaggio Árpád Weisz, si pensi che è stato ed è l’allenatore dei record: il primo a vincere un campionato a girone unico - quello secondo la formula tutt’ora in vigore - ancora oggi è l’allenatore più giovane ad aver vinto uno scudetto e tra i pochi ad averne vinti con due squadre italiane diverse, evento che statisticamente capita soltanto una volta ogni circa 15 anni.
Oggi sarebbe un tecnico di prima grandezza, a fianco di Mourinho o Guardiola.
Sarebbe già una somma di motivi sufficienti per scrivere di Árpád Weisz, ma l’obiettivo di coniugare sport e cultura ne fa il miglior protagonista di una rubrica: nazionale di quell’Ungheria che iniziò ad esportare la prestigiosa Scuola Danubiana in tutto il continente, giocatore prima e allenatore poi di un’Inter vincente, ebbe la sua consacrazione con il Bologna, conquistando due scudetti consecutivi e il Torneo dell’Expo Internazionale di Parigi, che valeva la Coppa dei Campioni, superando in finale i maestri inglesi, un altro primato per il calcio italiano.
Qualcosa di personale sulla sua vita?
Non ancora ventenne combatté nelle trincee del Carso durante la Grande Guerra e, catturato dalle truppe italiane, trascorse anni in un campo di prigionia in Sicilia.
E poi?
Tornato in Italia dall’Ungheria, scrisse in italiano “Il Giuoco del Calcio”, un manuale di calcio innovativo e di grande successo e collaborò a lungo con le maggiori testate sportive nazionali.
Altro?
In qualità di ebreo straniero e in base alle Leggi Razziali del Regno d’Italia, espulso dal territorio nazionale dopo più di dieci anni di successi assieme a moglie e due figli piccoli, si rifugiò prima a Parigi e poi in Olanda.
A questo punto rimane la domanda di Enzo Biagi: chi sa come è finito.
La fine non tardò ad arrivare; nelle camere a gas di Birkenau per la moglie e i due bambini, nel campo di sterminio di Auschwitz per Weisz, dopo più di un anno di lavori forzati.
In questa rubrica metteremo a disposizione tutte le notizie, i testi ed il materiale fotografico reperibili: sarà una maniera per dimostrare la nostra grande stima e solidarietà per la persona.
Il rammarico per non averlo potuto avere più a lungo nel nostro calcio è pari allo sdegno che suscita la sua vicenda.
Paolo Balbi