Volta la carta

SENTIRSI CENERENTOLA, SENZA PERDERE LA SCARPETTA

FIFA Fair Play

Cremona, palazzo CONI: prima serata del Corso per Dirigenti di II livello, quello del CONI, naturalmente, perché di corsi federali per dirigenti da un po’ non ce n’è: per la nostra federazione sembra che non ce ne sia bisogno, forse l’idiozia secondo la quale “non è il momento” si è propagata come una malattia infettiva.

Avevo seguito tempo addietro il corso di primo livello FIGC a Rovato, da allora sono in attesa del secondo, ma credo che il nostro presidente nazionale abbia deciso di formarci ad un livello superiore in altro modo: le lezioni di etica su africani, donne, ebrei e omosessuali ce le ha già impartite, quella di marketing anche, quando, seduto da una parte della scrivania, ha venduto  il suo libro alla federazione, saltando poi dall’altra parte per acquistarlo, con i soldi delle nostre società.

 

La serata ha comunque come tema il “Fair Play”, definizione di gran moda per indicare in realtà il Gioco Leale: in qualunque lingua lo si dica, rimane sempre per noi un campo minato, noi che in tribuna o in panchina ci spelliamo le mani ad applaudire comportamenti assolutamente scontati in qualunque altro gioco, evidenziandone così l’eccezionalità, e sempre noi, che sfiliamo in lugubre processioni, fiancheggiati da cordoni di forze dell’ordine, quando andiamo a “veder giocare” la nostra squadra in trasferta, e ancora noi, che sulle gradinate degli stadi dobbiamo essere separati dai simpatizzanti della squadra avversaria per mezzo di recinti e cancellate, noi che non riusciamo a disgiungere la nostra impressione del momento su una persona, l’arbitro, dalla sua figura istituzionale.

 

Non comprendo la ragione di un dogma nemmeno in una religione, tuttavia per 90 minuti (o se preferite, 100 con i recuperi, 70 per i giovanissimi…) se non altro grazie al mio controllo o alla consapevolezza che spesso l’arbitro ha l’età dei nostri ragazzi e che a quell’età magari ne ho (abbiamo) fatte di cotte e di crude, non posso abbassarmi ad insultare, inveire o vedere in lui la causa dei mali del gioco.

 

Il rispetto per la figura arbitrale fa parte del regolamento del nostro gioco, che non prevede deroghe nemmeno quando secondo il nostro giudizio personale commette degli errori, anche ripetutamente e magari sempre a discapito della nostra squadra, mentre siamo seduti in panchina, o distanti parecchie decine di metri in tribuna e non dobbiamo cercare di controllare da soli almeno 22 giocatori, sparpagliati in 5.000 metri quadrati di campo, più il pallone e le righe del campo stesso.

Con questo non voglio dare un giudizio positivo preconcetto sulla persona: l’arbitro, che abbia 18 anni o 35 poco importa, potrebbe anche essere un idiota per natura o un incapace perché nessuno gli ha impartito una formazione adeguata, ma il rispetto per il suo ruolo è DOVUTO.

E’ fin troppo semplice, fa parte del regolamento del NOSTRO gioco, in campo ci sono due squadre, un arbitro e un pallone, se manca una di queste componenti, non c’è partita.

Non sta bene a qualcuno?

Che cambi gioco, forse un bel campionato di Rollerball potrebbe fare al caso suo!

 

Io continuerò a sentirmi non limitato, ma tutelato dalle regole e da chi ha il compito di applicarle, anche sbagliando: le società civili sono state costruite su principi come questo.

Quando mi capita di trovarmi in una sala gremita di dirigenti di differenti federazioni, mi trovo spesso da solo a rappresentare il nostro gioco; i nostri dirigenti sulla carta sono di gran lunga i più numerosi, ma hanno ben altre cose per la testa che la formazione.

Senza alcun riferimento alla mia società, della quale per altro sono soddisfatto anche da questo punto di vista, continuo anche a sentirmi molto Cenerentola e purtroppo non riesco a vedere solo come un luogo comune il sorrisetto che mi fa un collega, sentendo che mi occupo di calcio e sono lì in una serata che verte sul Gioco Leale, ma che faccio?

Gli vado a raccontare che sono dell’Asola e che da noi c’è rispetto per le persone, le idee, le opinioni, le critiche e che non cerchiamo di vendere nulla?

 

Per lui rimarrei comunque “uno del calcio”.

 


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