Volta la carta

GRAZIE, MA PREFERISCO LE REGOLE

rollerball1Martedì sera dedicato alla formazione, a Mantova terz’ultima lezione del corso CONI per dirigenti sportivi, l’argomento in sé non sarebbe dei più vivaci.
Ordinamento sportivo nazionale e sodalizi sportivi dilettantistici: aspetti normativi.
Compito ingrato per il relatore, l’avvocato Matteo Pozzi, docente della Scuola Regionale dello Sport del CONI, al pari del nostro prezioso collaboratore Roberto Alessio, ma competenza, passione e apertura possono dare buoni spunti anche tra commi e carte bollate.
Al di là dell’importanza della conoscenza delle norme che regolano le nostre società, scontato patrimonio personale del dirigente, è possibile perdersi nel fascino dei concetti espressi nei nostri bellissimi statuti: certo, lo statuto della mia società lo conosco, ci mancherebbe altro, e conosco il suo atto costitutivo, non che siano particolarmente originali rispetto agli altri, ma vi siete mai fermati a considerare certi passaggi?
Avete mai riflettuto sui requisiti indispensabili perché sia riconosciuta la natura di associazione sportiva dilettantistica?
Provate a rileggerveli ogni tanto.
Parlano di assenza dello scopo di lucro, che non è una formula asettica, indica proprio una direzione verso la quale non ci si deve rivolgere, pena il declassamento della passione davanti al denaro, molto denaro per chi è capace, molti debiti per chi non lo è: solo una questione di segno algebrico, un particolare, alla fine, sempre di quello si tratta.
E i nostri statuti ci raccontano di democraticità: le nostre società non sono amministrate per diritto, ma non per merito, da chi detiene un sacco di soldi (o un sacco di debiti), ma da chi incontra la fiducia e la stima degli associati e può essere sostituito in qualunque momento.
E ci parlano di uguaglianza (statuti antichi, ma rivoluzionari, o evangelici se qualcuno preferisce, che è cosa diversa solo in apparenza), ci dicono che l’opinione di un associato ha pari dignità di quella di un altro: sembra fin banale, ma provate a trasferire il concetto in tante realtà.
Provate e riprovate, ma difficilmente funzionerà.
Sempre loro ci parlano di elettività delle cariche sociali, non di parenti, amici, o di amici degli amici, ma di persone che si sono dimostrate disponibili, competenti, disinteressate e appassionate e che per questo vengono scelte.
Nei nostri consigli direttivi, come tra i nostri collaboratori, è inutile cercare soggetti parcheggiati per ripiego in attesa di una “sistemazione” migliore, più redditizia o più stabile: non ne abbiamo.
E ancora, gli statuti ci parlano del rifiuto di ogni discriminazione di razza, religione, politica, sesso, opinione: un rifiuto che rappresenta una prova semplice a prima vista, ma nella quale in tanti cadono.
Senza nemmeno prendere in esame l’aspetto agonistico della nostra attività, abbiamo a sufficienza argomenti e sogni per trovare passione ed entusiasmo, giustificare l’impegno e un po’ stupirci dei grandi concetti che sono alla nascita delle nostre società.
Atti costitutivi e statuti, anche se spesso ignorati o dati per scontati, sono comunque obbligatori per legge; il passo successivo all’ottemperanza di tali obblighi è fatto in autonomia e grazie all’iniziativa solo nelle società dotate di un’organizzazione più solida, che non vuole dire una sede traboccante di coppe, ed è rappresentato dall’adozione di un codice etico: da qui indietro non si torna più, nelle società che si sono spinte a compiere questo passo, si è superato il concetto di obbligo e l’attività che vi si svolge è indirizzata ad un obiettivo ideale, che non si raggiunge mai, perché si insegue, ma si continua a spostare più in alto, per crescere, per migliorare, per offrire un “prodotto” di maggior qualità ai tesserati, perché le loro famiglie abbiano le garanzie di regole trasparenti e per dar modo a istruttori e dirigenti di poter lavorare nelle migliori condizioni.

Dove non c'è consapevolezza e convinzione di tutto questo, lo sport non è di casa e forse vedrei meglio un’organizzata e potente multinazionale, una macchina da soldi, di quelle che i soldi li fanno davvero, e allora come surrogato dello sport potremmo anche avere un rude, ma sincero e spettacolare campionato mondiale di Rollerball (capolavoro di Jewison - 1975), niente coni e cinesini, ma ne varrebbe la pena anche solo per la colonna sonora.


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