IL NUOVO CONTRIBUTO DELL'A.C.ASOLA ALL'ASSOCIAZIONE ITALIANA ALLENATORI CALCIO - SEZIONE DI BRESCIA
SOLO PANCHINARI
Iniziano a indossare questa divisa a partire dalla categoria Giovanissimi, quando non sono più le regole democratiche federali a schierarli in campo, ma le scelte tecniche dell’allenatore.
Di loro si parla poco e non si scrive mai, ma basterebbe un po’ di attenzione, per scoprire in questi ragazzi il più puro spirito sportivo dilettantistico, cha a volte nei titolari è viziato da egoismo e presunzione.
Impegno in allenamento, speranza di giocare almeno qualche scampolo di partita, spirito di gruppo, condivisione delle emozioni dei compagni, più di tutti al servizio della squadra e felici di poter essere utili, indispensabili: tutto questo hanno e molto di più.
Noi dirigenti li conosciamo meglio dei titolari, perché viviamo insieme a loro in panchina il clima partita, rispondiamo alle loro domande e ascoltiamo le loro considerazioni finemente tecniche: quelle considerazioni che solo chi cerca di rubare il segreto dei compagni in campo può fare, ma senza malizia, con la concentrazione di chi assiste alla partita da una posizione privilegiata, a pochi passi dall’allenatore, ascoltando i suoi commenti, anche quelli sfuggiti quasi sotto voce.
A volte un giocatore assume il ruolo di panchinaro per certi vizi dell’allenatore, che schiera in campo figli degli amici o amici dei figli, in decenni di carriera da dirigente capita di vedere anche questo, ma raramente e comunque il tempo è galantuomo.
Non è mai bello fare nomi, e quindi non li farò – né per gli allenatori, né per i ragazzi – ma certi panchinari non li dimenticherò mai: quello che ha amato il proprio numero 14, dopo che avevo iniziato a stemperare la sua delusione con un sorriso, facendogli presente che era il numero del grande Cruijff, o quello che era solito sedersi in panchina vicino a me e che si stupiva dei geroglifici che buttavo giù a mo’ di appunti, ma era prezioso per cogliere quello che il mio occhio non vedeva.
Il numero 12. Quello però vale un discorso a parte.
Sempre irremovibile nella mia convinzione di non avventurarmi mai nelle competenze degli allenatori – gradendo naturalmente la stessa cortesia da parte loro – tuttavia non ho mai desiderato l’alternanza programmata tra due portieri; ricordo con tristezza l’anno del portiere “da casa” e quello “da trasferta” – e mi piace che l’allenatore faccia una scelta, che non deve essere definitiva, ma gara per gara, mettendo tra i pali chi dà più garanzie al momento. Se è auspicabile avere due portieri equivalenti, che l’alternanza la seguiranno naturalmente, in base allo stato di forma fisica e mentale, ci sono situazioni nelle quali i numeri 1 e 12 si posano stabilmente ciascuno sulle spalle di un portiere.
È proprio allora che il numero 12 deve essere un ragazzo speciale.
Per mia fortuna in tanti anni ho avuto anche quello: educato, equilibrato, sempre presente e impegnato negli allenamenti, sempre pronto a entrare in partita, il miglior rifinitore nella preparazione del collega, del quale solo acciacchi, impegni familiari e squalifiche gli permettevano di giocare in partite ufficiali.
L’eroe di Gonzaga era stato soprannominato dopo l’importante partita giocata da titolare, quando aveva abbassato una saracinesca davanti alla propria porta, catturando e deviando qualsiasi pallone si fosse avvicinato, reso imbattibile e orgoglioso dalla fiducia che la società aveva riposto in lui.
La panchina è una barca che ha il proprio equipaggio.
Il dirigente, l’allenatore con il collaboratore e il massaggiatore, tutti hanno un compito che non si improvvisa, ma si affina con l’attitudine e l’esperienza: tutto funziona quando l’equipaggio è ben assortito e stima e fiducia sono reciproche, ma a fare della barca un complesso mondo sono solo i panchinari.
Non ha importanza se con controllo anglosassone o esuberanza mediterranea, ma chi non vive con i panchinari, si perde il meglio.