Volta la carta

IL BEL PAESE DOVE IL SÌ SUONA. A PEDATE. (Io no spik inglish)

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AIAC BRESCIA  Emeroteca  -  Sezione Dirigenti - PAOLO BALBI  -  Addetto Stampa A.C. Asola

 Rapito dalla lettura di Jorge Luis Borges e di Joseph Roth fin dagli anni ’70, di questo riconosco una certa parte di merito ai traduttori dei miei autori stranieri preferiti, ma considerando che nessun libro scritto da loro mi ha mai riservato una delusione e che nelle edizioni italiane si sono avvicendati diversi traduttori, sono convinto che massimamente dipenda dalle felici penne di due grandi della letteratura.

Non per questo mi avventurerei a leggerli in lingua originale; intendiamoci, mi piacerebbe poterlo fare, ma è un’ipotesi che rimane tra le migliaia di desideri che rimarranno inappagati: lo sforzo sarebbe enorme e preferisco continuare a leggere opere tradotte nella mia lingua.

I miei nonni erano tutti perfettamente almeno trilingui, come era diffuso nella loro epoca, nella mia città, ma io purtroppo non mi posso permettere di vivere quella che per loro era la quotidianità.

Mi capita invece spesso di sentire o leggere qualche tecnico nostrano fare innaturale abuso di vocaboli anglosassoni, per illustrare un’esercitazione o per descrivere una partita, imponendo il reciproco sforzo di chi pensa in italiano, ma infarcisce il discorso di inglese, e contemporaneamente di chi ascolta in inglese, ma pensa in italiano.

Un’abitudine perversa e fastidiosa sempre più diffusa - e il calcio è solo un esempio secondario - che non avrebbe motivo di essere, considerando la nostra ricca e armoniosa lingua, di fronte ad un’altra, al confronto povera, con una grammatica primitiva, musicale solo per i Beatles.

Insomma, non sta bene cercare di trasformare un campo da calcio in un Circolo del Bridge, non che abbia niente contro il bridge, anzi, è il più bel gioco con le carte, ma il contesto è proprio diverso e il tentativo sarebbe fuori luogo.

Fin dai tempi di Nicolò Carosio, radiocronista EIAR alle Olimpiadi di Berlino del 1936 e telecronista RAI fino al mondiale messicano del 1970 - che di anglosassone aveva solo la madre, il taglio del vestito e la colta passione per i distillati - non c’è oggetto che non si possa nominare e concetto che non si possa esprimere in italiano, parlando di calcio.

Qualche anno fa, in ambito di un progetto che coinvolgeva un centinaio di allenatori locali, avevo proposto la creazione di un corso gratuito di inglese, solo per poter comunicare di calcio anche oltre i confini, proposta accantonata perché “non era il momento”; solo in seguito mi sono reso conto del mio errore, che certamente non era il tempo, ma la sostanza.

Il corso sarebbe invece dovuto essere di italiano e sarebbe risultato forse ancora più utile a chi, per indicare arbitro, avversario, proprietà, masticava goffamente vocaboli come referee, competitor e governance, tanto così, per cercare di fare presa su di un pubblico, evidentemente bollato come “semplice”, ma richiamando inevitabilmente alla memoria poco Alberto Sordi, poco Totò e tanto Paolo Villaggio anni ‘90.

Signori delle panchine, maghi dei coni, dei cinesini e del controllo orientato - non coach, ma istruttori, allenatori, educatori - siate più diretti e genuini, mostrate la vostra personalità e la vostra competenza, valorizzando i vostri argomenti nella vostra lingua, quella che ci hanno insegnato sui banchi di scuola e che tutti noi parliamo nelle nostre case; ne guadagnerete in chiarezza, immagine e credibilità.

Bisogno di un piccolo aiuto?

Lo potete trovare qui: https://aaa.italofonia.info/categorie/sport, dove è possibile consultare il Dizionario delle Alternative agli Anglicismi - Sezione Sport e riconvertire in italiano quelle stonature della conversazione.

Vi darà presto assuefazione e sarà come andare in bicicletta, non si dimentica più.

Per il resto limitiamoci a ricordare: “Where is the book? The book is on the table”.


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