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ECCE TORO di Giuseppe Culicchia

ecce toro

Tifare Toro è un’altra cosa. Ecce Toro

Ecce Toro

In che senso? 

In tutti i sensi.

Il Torino non è la squadra che è che stata fondata per prima, non è quella che ha vinto più scudetti, la sua permanenza in Serie A non è continua, non ha conquistato nessun importante trofeo internazionale, non è sostenuta dal maggior numero di tifosi e non ha la potenzialità di ingaggiare dei palloni d’oro, ma non c’è appassionato di calcio, che non sia del tutto ignaro della storia di questo gioco e che del gioco non faccia solo una faziosa malattia, che non manifesti rispetto e sana invidia di fronte ad una maglia granata.

Non è facile fare una lista degli stadi nazionali intitolati a giocatori granata, ne troviamo certamente a tutte le latitudini e non c’è riscontro di altri atleti, altri campioni prematuramente scomparsi, i nomi dei quali siano entrati nella leggenda e nella cultura degli sportivi, rimanendovi ben saldi, a dispetto di ogni regola del tempo, del mercato e delle mode.

L’omaggio che Giuseppe Culicchia, tifoso granata di cuore, di testa e di pancia, ha tributato con Ecce Toro ci fa comprendere il concetto di “tifare Toro”, ripercorrendo la storia di una società, e ci invita ad entrare da visitatori, in punta di piedi e con il cappello in mano, noi che tifiamo squadre mai andate, né tornate in serie B, squadre che detengono il primato degli scudetti vinti – per l’occasione lasciamo anche perdere come – o dei trofei internazionali conquistati.

Culicchia ci fa entrare e ci accompagna da orgoglioso ospite senza intenti statistico-enciclopedici, – di testi con numeri ed effetti speciali ne abbiamo già abbastanza – e ci fa intravvedere il Toro: la nostra è solo una visione da visitatori, ma è quanto basta a farci rendere conto che “tifare Toro” è un’altra cosa.

Giuseppe Culicchia è uno scrittore raffinato di indubbio successo; con i suoi romanzi ha collezionato importanti premi; Ecce Toro è una fortunata digressione nella letteratura sportiva.

Ho avuto la fortuna di incontrarlo qualche anno fa: per l’occasione aveva duellato con Darwin Pastorin sul terreno del derby – quello di Torino, naturalmente – e a fine serata mi aveva stupito per il tempo e le parole che aveva speso, dedicandomi la mia copia del libro.

Ho capito il perché dopo averlo letto.

“In principio fu il Grande Torino.

Bacigalupo, Ballarin, Maroso; Grezar, Rigamonti, Castigliano; Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola.” 

“Mio padre non era mai stato a Torino prima d’allora. Ma già tifava per il Toro.

Che all’epoca, però, non era semplicemente il Toro.

Era il Grande Torino. E giocava al Campo Filadelfia.”

“Le ultime quattro partite della stagione 1948-49 vengono giocate dai ragazzi della Primavera del Toro. Gli altri club a loro volta schierano sportivamente le rappresentative giovanili.

Il Torino vince il suo quinto scudetto consecutivo.”


“Così, mentre il presidente della squadra del capo del governo può tranquillamente diventare, in Italia, anche presidente della Lega Calcio – ndr: e vendere i diritti televisivi al proprio datore di lavoro – (una cosa semplicemente impensabile nel famoso mondo civile a cui ci illudiamo di appartenere), gli stadi si svuotano e lo scudetto è affare di pochi privilegiati.”

 


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