Tango, Samba e Beat: pagine scelte

FUORI TEMPO di Alberto Bucci

Fuori tempo

Il curriculum di Alberto Bucci è il miglior motivo della sua presenza tra le proposte di questa rubrica, anche se è indissolubilmente legato al pallone a spicchi, quello più grande dl nostro e che rimbalza sul parquet, ma che al pari del nostro, è comunque l’attrezzo del mestiere di un gioco di squadra e di un gioco di contatto.

Nel calcio, in Italia particolarmente, dovremmo sempre fare buon viso a cattivo gioco: constatare la carenza di cultura nel nostro ambiente sarebbe un atto dovuto, ammetterla senza vergogna una dimostrazione di forza mentre cercare di imparare da chi, più fortunato o più capace, opera invece dove la cultura sportiva c’è ed è la base per chi pratica quello sport, al di là delle evoluzioni sul campo in allenamento o in gara, sarebbe una garanzia di crescita.

Dopo più di 40 anni trascorsi sulla panchina di squadre di pallacanestro come Fortitudo, Virtus, Livorno, Verona, Pesaro e Fabriano, dopo aver conquistato svariati trofei tra scudetti, Coppe Italia, Supercoppa Italiana, promozioni in serie A1 e dopo aver portato ai massimi livelli mondiali nazionali master maschili e femminili, un tecnico non ha certo nulla da dimostrare, ma Alberto Bucci si è messo ulteriormente in gioco, scrivendo Fuori Tempo, che per nostra fortuna non è il solito compendio di tattica, tecnica e metodi di allenamento unici, ma, come indica l’autore stesso nel sottotitolo, offre riflessioni di un coach tra vita e canestri…

I dubbi professionali, i conflitti tra gli impegni di un tecnico professionista e la comune vita privata di un uomo, le soddisfazioni, le reazioni alle ingiustizie, i rapporti con atleti e dirigenti: in uno spazio apparentemente inadeguato di 160 pagine Albero Bucci riesce a raccontarci tutto, in parte ricorrendo al metodo dell’intervista, in parte andando a ruota libera, lasciandoci tante risposte e qualche domanda, alla quale ognuno di noi potrà cercare di rispondere nel tempo, con l’esperienza, mettendo al servizio del nostro gioco la propria professionalità.

E’ un libro che ho letto tutto d’un fiato, dopo aver conosciuto l’autore, e che ha soddisfatto le mie aspettative: è un’ulteriore tessera di cultura sportiva che propongo solo a chi avesse l’esigenza di comporre un proprio mosaico.

Alla fine della lettura, o prima, se non resistete, trovate un’appendice fotografica di gran pregio.

“…Molti non lo ricordano o non lo sanno, ma dentro il Palasport a Bologna non potevano entrare striscioni, cartelli o club che inneggiavano a questo o quel giocatore.

Porelli non voleva nemmeno le scritte pubblicitarie all’interno del Palasport di Piazzale Azzarita. Pur rinunciando a delle belle cifre, lui sosteneva che la qualità dello spettacolo era sacra, non aveva prezzo e non andava compromessa, costi quel che costi…”

“…mi disse che dovevo essere felice per il mio arrivo a Bologna non tanto perché avrei allenato una squadra molto forte ma perché stavo diventando l’allenatore di una grande società. Per lui la Virtus era molto più di un semplice club di basket. Nei suoi bilanci non esisteva una sola lira di perdita. La puntualità negli stipendi era proverbiale. Era assolutamente proibito spendere un soldo in più di quanto fosse stato incassato…”

“…Mi viene in mente quando, prima di iniziare il primo allenamento, illustrai ai giocatori il progetto di lavoro che avevo preparato e chiesi se fossero d’accordo. Mi guardarono tutti con un po’ di sorpresa se non addirittura di sospetto. Mi accorsi di averli sorpresi, come se dentro di loro ognuno dicesse: ma questo cerca da noi il benestare agli allenamenti?...”


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