Tango, Samba e Beat: pagine scelte

LEGGERE ANOMALIE di Andrea Mitri

Leggere anomalie

Leggere anomalie

Questi sono i calciatori che piacciono a me: Andrea Mitri, classe 1958, nato a Saronno, ma il fatto che, nel bene e nel male, dichiari di sentirsi mio concittadino d’elezione, conta più di una Bisvalida Panini!

A Trieste il liceo scientifico, l’Oberdan, negli stessi anni del suo compagno di scuola Paolo Condò, e l’università, Lettere e Filosofia, una breve presenza nei dilettanti e quindi nella Triestina, emigrando poi per vestire le maglie di Monza, Cavese, Ternana e Pistoiese.

Una carriera sportiva tra serie C e serie B terminata a 31 anni, centrocampista che non disdegnava di segnare qualche rete, ben 14 con i rossoalabardati, con i quali ha vinto anche la Coppa Anglo Italiana; nel frattempo una vita di studio e di teatro.

Allo sport ha dedicato sul palcoscenico i suoi monologhi Atletico Short Stories, Vita calcistica di Mirko Botteghi e Ite, Missa Est.

Leggere anomalie è il suo terzo libro - ammetto che fino a poco tempo fa non avevo avuto notizia  di Andrea nelle vesti di scrittore - e una persona cara, che conosce i miei gusti, ne ha fatto il mio regalo per San Nicolò.
A Trieste, per i regali ai bambini buoni, non passano né Santa Lucia, né la Befana, né Babbo Natale, ma San Nicolò, il 6 dicembre, ed evidentemente io devo essere stato buono…

Ventisette racconti brevi, senza trascurare lo sport; alla lettura le pagine scorrono veloci, Andrea Mitri è uno di quegli autori dotati di una penna fortunata, che non si limitano ad avere talento e fantasia, peraltro necessari, ma possiedono anche gli strumenti per renderli in modo elegante sulla carta.
Mi piacerebbe prima o poi poterlo avere ad Asola per una serata di sport e cultura. 

 

Andrea Mitri 8283

Andrea Mitri 8283
"Se guardi quella foto, quella famosa, delle Olimpiadi di Città del Messico, nel ’68, io sono quello a sinistra, sul secondo gradino del podio. E sono invisibile.
Sì, perché di quella foto, tutti ricordano Tommy Smith e John Carlos, la mano guantata di nero, il pugno dritto verso il cielo, i piedi scalzi  e la testa reclinata in avanti a non guardare la bandiera.”

“Nel giro di sette otto mesi il nostro Ibrahim è diventato il gioiellino della squadra giovanissimi, un centrocampista non troppo ordinato ma velocissimo e con una istintiva capacità nei tempi di inserimento in fase offensiva. La domenica mattina, quando giocavano in casa, io ero sempre seduto sui gradoni della tribuna del piccolo stadio, in alto a sinistra guardando dal campo.”

“Se ripenso alla presentazione di quel match, lui è circondato dai giornalisti, dai fotografi. Io sono quello che non fotografa quasi nessuno, quello scuro in volto, in disparte. Ho 28 anni… e sarò la sua fine.
Alla dodicesima ripresa Nino Benvenuti finisce giù al tappeto, giù da tutto.”

“Odio la parola rifugiata.
L’ombra di un essere umano, un guscio vuoto, in cui non poter mettere le cose lasciate. Niente soldi, niente casa, nessuna certezza.
Tutto sostituito da quest’unica devastante parola. Rifugiata. Che prima non ero.
Prima ero la scuola, i libri, i pomeriggi in piscina. Una ragazzina a Damasco, questo ero, assieme a mia sorella Sara.”


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