In questa rubrica non mancano le lacune, colmarne una è già un progresso.
In cinque anni di recensioni non era ancora stato presentato un autore tra i più grandi del panorama letterario, non solo sportivo, italiano; rimedio proponendo Azzurro Tenebra, la vicenda della poco gloriosa spedizione della Nazionale ai Mondiali del 1974, in Germania.
Un’opera difficile da etichettare, che Giovanni Arpino ha pubblicato nel 1977 per l’editore Einaudi, quella prestigiosa casa editrice, all’epoca ancora indipendente, fondata a Torino nel 1933 da un gruppo di amici, studenti del liceo classico Massimo D’Azeglio.
L’editore ci presenta l’opera come “romanzo” e in effetti la caratterizzazione dei personaggi e la presenza di un filo conduttore che li unisce, i loro dialoghi, la qualità e la ricchezza della scrittura e i ritmi narranti possono suggerire che si tratti di un romanzo.
Giovanni Arpino però è scrittore e giornalista: giornalista di quelli epici, che giravano il mondo come inviati e scrivevano i loro pezzi “sul campo”, con macchina per scrivere al seguito, dettando poi al telefono i testi alle redazioni, per i quotidiani che sarebbero andati in stampa appena qualche ora più tardi.
Per questo Azzurro Tenebra, nonostante possegga tutti i crismi del romanzo, ha in sé l’immediatezza della cronaca e la capacità di informare, che solo un grande giornalista può offrire; a questo si aggiunga che i personaggi sono reali, tutti ribattezzati con soprannomi, alcuni di immediata identificazione, altri più difficili da smascherare, ma comunque tutti reali.
La narrazione o, a piacere, il servizio speciale, inizia qualche giorno prima della partita inaugurale del torneo e termina al rientro in patria dei protagonisti ed è interamente vissuta dall’interno del gruppo dei giornalisti italiani, con costanti interventi dei componenti della Nazionale, giocatori, tecnici e dirigenti.
A testimoniare la fedeltà del libro alla realtà dei fatti c’è l’inconfutabile dichiarazione di Capitan Dino Zoff, secondo il quale l’autore, nella stesura dell’opera, non ha inventato nulla, limitandosi a tradurre i fatti con linguaggio narrativo e giornalistico.
La copertina della prima edizione, sempre elemento che esprime una scelta, ci offre una fotografia in bianco e nero di Marco Ravezzani, una delle sue opere più amate: Giacinto Facchetti che vola sulla fascia.
Incerto anche in questa classificazione, direi però che Azzurro Tenebra sia Tango.
Alcuni personaggi: Arp o Arpége (Giovanni Arpino), Baffo (Sandro Mazzola), Belle Gioie (giornalisti “buoni”), Bibì (Bruno Bernardi), Bomber (Gigi Riva), Buon Tom (Tommaso Maestrelli), Fabio il Geometra (Fabio Capello), Gauloise (Carletto Parola), Giacinto (Giacinto Facchetti), Giorgione (Giorgio Chinaglia), Golden Boy (Gianni Rivera), Grande Capo Penna Bianca (Gianni Agnelli), Grangiuàn (Gianni Brera), Jene (giornalisti “cattivi”), Manager (Italo Allodi), Petruzzu (Pietro Anastasi), Romeo (Romeo Benetti), San Dino (Dino Zoff), Spina (Luciano Spinosi), Tarcisio la Roccia (Tarcisio Burgnich), Vecio (Enzo Bearzot), Veneziano (Giorgio Lago), Walf (fotografo ufficiale), Zio (Ferruccio Valcareggi)...
“Non si dorme mai, si va a letto con la testa avvolta nell’asciugamani, non c’è riparo alle finestre, Jean Gabin con le sua albe tragiche mi fa solo ridere, si mangia da lager, un rutto costa cinquanta marchi, viviamo nel limbo, domani si debutta con Haiti. L’Italia democratica e bombarola freme. Intere famiglie si mettono in mutua dalle Alpi a Siracusa per vedere la partita. Anche se il vero calcio è con gli olandesi e i brasiliani, che i colleghi furbi seguono nelle città vere. Noi no. Noi qui nell’orifizio tedesco.”
“Guarda: la palla rotola. E’ strumento unico al mondo. Tu prova a fare cento corse con Mennea o Borzov; prova a fare cento rounds con Casssius Clay; prova a sorpassare dieci volte Niki Lauda: perderai sempre. E invece la palla vola. Su cento dribbling con Pelè puoi vincerne uno, perché il corpo tuo o suo si sbilancia, perché il filo d’erba aiuta te e non lui.”
“Ho beccato quel tale, quel Tomaszewsky. Al cesso, - seguitò nel ridere - Parla inglese ma dice che è proibito. Mi fa: scappa, sennò guai. E’ simpatico. Darebbe l’anima per un’intervista.”
“Quel Neckarstadion di Stoccarda gonfio di bandiere, di strepiti e gesti e trombe e occhi lucidi, poi l’inno di Mameli cantato scompostamente ma con lunghe bave di spasimo, con rapidi commossi ruggiti, e ancora gli uomini delle due squadre allineati immobili come bersagli d’un tirassegno…”
“…Deyna sembra non faticare non ingobbirsi non spremere sforzi, la battuta par scivolare come carezza gentile sul capo d’una bambina ed invece è lancia termica che erutta un lapillo bianco incandescente, il pallone, riga il vuoto, è appena un’ombra diabolica quando entra in rete malgrado il balzo suicida di San Dino.”
“Quegli olandesi lì? Ma possono far notte. Resistenti come cammelli. E poi c’è un’ebbrezza nel correre. Superato un limite, cambiano fiato, è come una ciucca: Vai, ignorando la fatica. Anche la velocità diventa una droga, - studiava Gauloise scrutando attraverso i cespugli…”