Studio e Sport Insieme

CHE POTEVO FARCI?

MGiorgi PMarzanoAbbiamo già avuto l'occasione di incontrarci con Monica Giorgi in www.asolacalcio.it 
Questa la sua presentazione: https://www.asolacalcio.it/volta-la-carta/1235-monica-giorgi-asola-paolo-balbi

Nella foto la vediamo dopo un incontro di doppio misto con Pietro Marzano nel 1979.

Nelle vesti di sportiva sette volte campionessa nazionale, studentessa e docente entra a pieno titolo in questa rubrica; la ringraziamo per questo prezioso contributo.

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Ho imparato a giocare a tennis guardando e ascoltando.

Hai visto come fa il diritto Tizio?

E il rovescio di Caio è quasi perfetto!

Hai capito quanto improvviso e vincente è il drop-shot…

E come vola Sempronio quando smescia, a rete si avventa come un felino – ammoniva mio padre.

Le mie sorelle maggiori litigavano su chi fosse il più bravo. Che molto spesso combaciava con il più bello.

E mia madre sospirava Qui si mangia pane e tennis…

Insomma si trattava, a ragion veduta, di riflettere sulle pratiche.

C’è poco da scegliere quando si è ancora bambina. Ci si affida a ciò su cui si aprono gli occhi e si accoglie quello che ci prende. Nei fatti, la mia attenzione era catturata dalla bellezza di quelle movenze. Ognuna delle quali aveva un nome preciso, una specifica tecnica di esecuzione e disegnava la geometria entro cui dirigere la palla colpendola.

A casa, quei gesti, li avrei ripetuti – più o meno a vuoto – davanti allo specchio. Per verificare se l’immagine semi-indelebile che aveva impressionato la mente era stata trasfusa nell’armonia del tratto fisico.

Per esperienza posso dire che la cultura sportiva richiede una consistente parte di abnegazione, spirito di sacrificio e una certa dedizione - al prezzo di qualche rinuncia. Un calvario, si potrebbe definire?

Sì e no; in parte e con le dovute proporzioni lo è. Ma la prova non si snoda a senso unico. Giacché la salita, una volta intrapresa, imbocca pur sempre la via di un’ascensione. Per quanto lieve risulti la pendenza.

Sia per un’innata fiducia non scevra da illusioni, sia per una riserva d’impertinenza che mio padre non disdegnava di coltivare, ho sperimentato che nelle difficoltà si scoprono, se si scoprono,  vantaggi da esplorare. Mi piace pensare questa cosa come una forma di compensazione. Che può essere ricevuta, mai pretesa e ancor meno causata, da ciò che chiamerei grazia.

Grazia che sento risuonare nell’allusiva strofa di una poesia di Emily Dickinson:

Che gloria ci sarebbe nel traguardo

se non si frapponesse

l’ombra del dubbio

e un remoto avversario

a rendere l’impresa più rischiosa?

Infine – già la grazia in vista – grido

ai miei piedi d’insistere, prometto

di regalargli tutto il Paradiso

l’attimo stesso che ci incontreremo      

Che piacere ritrovavo nella fatica mattutina di andare a correre presto in modo da essere puntualmente presente anche a scuola! E neppure  rimpiango le giornate al mare cui ho rinunciato per dare il meglio di me al corso di tennis nel pomeriggio: sensazioni che  sarebbero rimaste intatte e preziose in altre occasioni.

Mi piaceva più allenarmi che competere. Tant’è vero che perfino oggi, all’avanzata età in cui mi trovo, vado in palestra. Se la manco provo un senso di rammarico: quanto preferibile ad un inquieto riposo è una sana stanchezza fisica! Ci vado per allenarmi – dico; allenarmi per cosa? Per niente. In vero ci vado per lo sforzo e il piacere di farlo.

Mi allenavo in condizioni disagevoli; mettevo i pesi alle caviglie e sceglievo le ore più calde della giornata. Quando avrei gareggiato priva di quell’aggravio, mi sarei sentita le ali ai piedi e avrei sopportato più a lungo i termini della competizione. Le partite di tennis non si svolgono a tempo stabilito; si sa quando si entra in campo ma non quando si uscirà. Il punteggio è congegnato in modo tale per cui l’incontro potrebbe non finire mai. In teoria, certo. Ma l’incontro si disputa in pratica e la prospettiva della partita infinita gioca un peso non indifferente sulla tenuta fisica e mentale di chi è in campo. Specialmente ai tempi in cui non era ancora stata introdotta la scorciatoia del tie-break.

Di mala voglia uscivo dal campo quando altri lo reclamavano per il proprio turno. Proponevo allora di fare un doppio, quasi mendicando per allungare il tempo di allenamento a mia disposizione e non di rado pretendendo strappi alle regole…Oppure andando al muro a ritoccare i colpi più difettosi del mio repertorio.

L’iniziazione al tennis ha comportato la scoperta di quanto compromettente sia il mondo dello sport. Non intendo configurarlo come un mondo a parte, bensì una parte di mondo in cui si replicano, nuove e antiche, le innumerevoli trame della vita.

I miei genitori erano in perfetto accordo nell’affermare che lo sport fa bene al corpo e alla mente.

Le loro parole d’ordine e in quest’ordine: studiare, fare sport, viaggiare e imparare le lingue -  tre obiettivi in una pratica - le fissai e le ho spese, in rapporto a specifiche circostanze, come se fossero la combinazione per la quadratura del cerchio. Ovvero, perseguire l’ideale che tale rimane e tuttavia, in qualche modo, spinge ad agire - nel quadrato e nel cerchio della vita.

Quando alle scuole medie la professoressa di turno avvertì mia madre che l’impegno nel tennis comprometteva l’andamento scolastico, senza aprir bocca, con un misto di rabbia e afflizione dentro di me, promisi di smentire l’una e rassicurare l’altra.

Come bilanciare studio e sport? Semplicemente praticandoli. La mediazione non può che essere mediazione vivente.

Intanto, so di poter dire che la passione per lo studio sta fuori sesto con l’andar bene a scuola. Proprio come l’amore per lo sport  è scombinato rispetto al diventare campioni titolati in qualche sua disciplina. È un bene che così sia. E anche se di un qualche rinforzo positivo la perseveranza umana non può fare a meno, non è da meno l’eccellenza di sopportarne la mancanza. 

Nella ricerca di definire un allenamento mirato e in veste di preparatore atletico extra scolastico, il professore di educazione fisica mi fece notare come le peculiarità atletiche di un tennista abbiano molto in comune con quelle di un mezzofondista e di un lanciatore leggero. Così mi dilettai con la corsa: dalla campestre allo scatto dello sprinter, dalla corsa a ostacoli al calcio e al lancio del giavellotto.

Lo studio per me è un incontro stupefacente con l’altro, in senso personale e impersonale. Lo studio mi ha aiutata e mi aiuta nei momenti più difficili; mi fa sentire viva, quanto viva mi fa sentire la poesia di una parola autentica o una corsa sfrenata lungomare.

Il tennis, anche adesso che lo penso senza più giocarlo, simula per suo conto il risvolto agonistico della continua ricerca per la verità.

Devo scomodare Simone Weil, filosofa a tutto campo, per ordinare le cose con le parole: filosofia - cosa in atto e in pratica, difficile come scrivere un trattato di tennis.

Ai miei tempi, tennis e studio venivano comunemente considerati  due versanti opposti, ma in pratica non sono stati per me inconciliabili. Quasi distrattamente li ho vissuti come il riflesso di un di più. L’esercizio dell’uno migliorava le prestazioni dell’altro. Tennis e studio, che considero molto vicini all’impegno politico e in rapporto all’esserci-starci nel mondo, mi hanno aiutato molto nella vita, materialmente e spiritualmente. Cura del corpo e cura dell’anima mi si sono rivelate esigenze imprescindibili, anche se l’una e l’altra le ho praticate con una certa discontinuità per tempo dedicato. Tempo però che non ho mai mancato di prestare ad entrambe.

Non vorrei dare un’impressione sbagliata,  cioè di aver misurato la cosa con il bilancino per programmarla sistematicamente. Mi ci sono abbandonata, quando ne sentivo il bisogno, lo assecondavo.

Me ne rendo conto…avrei dovuto scrivere qualcosa di meno prolisso.

Che posso farci se non sono in grado di stilare una lista di consigli funzionale a giovani che praticano sport? Giovani aggravati, credo, da un carico di aspettative talvolta troppo ingombrante per la prova a coniugare attività sportiva e  studio. 

Mi limito alla testimonianza. I dettàmi  predefiniti più che andarmi stretti vanno a vuoto. Ho scommesso  sulla ricerca di consapevolezza e fedeltà a ciò che si è, anche se si teme di risultare inadeguati. La traccia in definitiva siamo ciascuna e ciascuno di noi in relazione al mondo e ai tempi in cui ci è dato di vivere. Con le illusioni, le delusioni, le soddisfazioni e i fallimenti che l’esistenza comporta.

Un’avvertenza però mi sento di darla. La indirizzo agli adulti, alla vita un po’ bugiarda degli adulti…

Date spazio durante gli allenamenti a momenti di riflessione e di parola; non scoraggiatevi difronte a sovrani  silenzi o balbettii incongruenti; lasciate che siano i vostri allievi a fare e non fare domande; non aspettatevi solamente risposte esatte in sintonia alle vostre.

Magari potrebbe capitare, come talvolta capita a scuola, che la battuta astrusa e irriverente abbia l’effetto del sale su una pietanza insipida e precotta. 


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