Al fine di salvaguardare la salute dei cittadini praticanti un'attività sportiva non agonistica o amatoriale, il Ministro della Salute, nel decreto legge del 13.09.2012 n. 158, convertito con modifiche nella legge 8 novembre 2012 n.189, tra le diverse garanzie sanitarie per la salute, ha disposto anche delle linee guida per la dotazione e l'impiego, da parte di società sportive professionistiche e dilettantistiche, di defibrillatori semiautomatici e di eventuali altri dispositivi salvavita .
Da allora, purtroppo, anche a causa della difficoltà organizzativa dei corsi abilitanti e dell’impreparazione di molte società sportive dilettantistiche, oltre che per le recenti problematiche legate ai club ubicati nelle zone terremotate, la concreta applicabilità della norma alle società dilettantistiche ha registrato numerosi rinvii, l’ultimo in ordine di tempo slittato al 1 luglio 2017.
Nelle more dell’effettiva applicazione della normativa, tra gli addetti ai lavori, istruttori sportivi in primis e anche insegnanti, è emersa una certa preoccupazione in merito alle eventuali responsabilità derivanti dall’uso della strumentazione in parola e delle tecniche salvavita, circoscritte all’ambito sportivo e a quello dell’insegnamento scolastico.
In linea generale, è necessario non solo fugare i dubbi in punto normativo e pratico ma, soprattutto, rassicurare chi, a prescindere dalla formazione specifica ricevuta, si troverà a utilizzare il defibrillatore per cercare di ovviare a un caso di arresto cardiaco.
A questo punto, con riferimento al tema della responsabilità, due sono le considerazioni da fare, sia sotto l’aspetto pratico a tutela della vita della persona in condizione di arresto cardiaco e incosciente, che quello normativo.
Iniziamo la nostra analisi proprio dall’aspetto che riguarda la vita dell’individuo affermando che, una persona in stato di arresto cardiaco e incosciente, non è più in vita e dunque, ciò che potrà essere fatto nel tentativo di riportarlo alla vita, nell’ambito di quanto possibile, non solo non potrà danneggiare l’individuo stesso, ma neppure il suo soccorritore: il soggetto che verte in tali condizioni è tecnicamente già “morto”.
Per quanto concerne invece l’aspetto normativo, la Legge 3 aprile 2001, n. 120 “consente l’uso del defibrillatore semiautomatico in sede extra ospedaliera anche al personale sanitario non medico, nonché al personale non sanitario che abbia ricevuto una formazione specifica nelle attività di rianimazione cardio-polmonare”.
Dall’esame della norma, ne consegue che chiunque, purché sia stato formato, può utilizzare il defibrillatore presente in un impianto sportivo o in altro luogo ubicato: in tal senso, il defibrillatore va comunque inteso non come quello strumento che ripara il cuore della persona ma che consente piuttosto di tenerla in vita in attesa dei soccorsi che verranno prestati dal personale sanitario qualificato.
Ad ogni buon fine, una prima risposta concreta può essere ricavata dal testo normativo pubblicato in GU n. 71 del 26.03.2003, laddove si evince che “...l’operatore che somministra lo shock elettrico con il defibrillatore semiautomatico è responsabile non della corretta indicazione della defibrillazione, che è decisa dall’apparecchio, ma dalla esecuzione di questa manovra in condizioni di sicurezza”.
Quindi, poiché le istruzioni impartite dalla macchina sono particolarmente semplici e chiare - NESSUNO TOCCHI IL PAZIENTE o ALLONTANARSI - nel caso in cui non vengano seguite per evidente disattenzione, non si può escludere una responsabilità per colpa grave dell’utilizzatore, come in tal senso conseguenze in sede penale e civile.
In ogni caso, se l’operatore - cioè l’utilizzatore in qualità di personale non sanitario - è stato formato, essendo l’analisi sull’individuo in arresto cardiaco effettuata direttamente dal software del defibrillatore, ad esempio non potrebbe essergli imputato il reato di esercizio abusivo di una professione ex art.348 c.p.: infatti, non è l’operatore ma la macchina ad effettuare la diagnosi di ritmo defibrillante.
Il quesito, a questo punto, verte piuttosto sull’eventuale responsabilità a carico di chi, anche prescindendo dall’effettiva formazione ricevuta nei corsi, si attiva cagionando una lesione alla persona in arresto cardiaco, come anche nell’ipotesi di erroneo uso dello strumento, o infine, proprio nel caso di suo omesso utilizzo, laddove presente, o di analoghe tecniche salvavita.
Giova sempre ricordare - e non solo a tutela dell’operatore non sanitario formato come anche del soccorritore non formato oltre che in linea di principio generale - la scriminante disciplinata dall’art. 54 del codice penale , che esclude la punibilità di chi, reca un danno alla persona, ad esempio nel tentativo di salvarne la vita.
Da non sottovalutare - e in tal senso penalizzante - quanto piuttosto disciplinato piuttosto dall’art. 593 del codice penale, che prevede il reato di omissione di soccorso a carico di chi omette di attivarsi in presenza di persone ferite o in pericolo.
Alla luce di quanto esposto, in assenza di una specifica casistica e di pronunce giurisprudenziali in ambito sportivo, seppur comunque facilmente ricavabili anche per analogia, a fronte di una situazione che comprometta gravemente la salute di un individuo e a prescindere dall’effettiva formazione ricevuta sull’utilizzo delle tecniche salvavita, è sempre preferibile attivarsi, e cioè prestando effettiva assistenza o allertando immediatamente l’Autorità: a ogni istruttore o insegnante o dirigente sportivo, sulla base della propria coscienza e personale emotività e competenza, spetta la tempestiva decisione sul da farsi.
In ogni caso, è sempre consigliabile frequentare un corso sulle tecniche di rianimazione, se non altro per sapere cosa non si deve fare .
(1)art. 7, comma 11, D.L. 13.09.2012 n.158.
(2) Stato di necessità: non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo (omissis)
(3) Omissione di soccorso: (….omissis…..) alla stessa pena soggiace chi, trovando un corpo umano che sia o sembri inanimato, ovvero una persona ferita o altrimenti in pericolo, omette di prestare l’assistenza occorrente o di darne immediato avviso all’Autorità.
(4) IRC: Linee guida 2015-2020, BLS-D per operatori non sanitari