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ALL'OMBRA DEL RISPETTO: SELFIAMOCI COSI', SENZA PUDORE

Schillaci

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Tra le distonie del caravanserraglio del calcio professionistico, sempre più identificato col mondo del lavoro che con quello sportivo, dove il business è farcito da bizzarre coreografie studiate ad arte per uno show che deve sempre e comunque continuare a stupire, siglare una rete e non esultare significa, per qualcuno, avere e dimostrare rispetto.
Così, a fronte delle varie forme di esultanza per le reti segnate, tipiche del calcio nostrano e immortalate dalla tv a passo di danza, nell’uomo mascherato, l’aeroplanino, la maglietta sfilata, con o senza dedica e lanciata al cielo (quando il calciatore non rimane addirittura in slip), nella sviolinata, nella mitragliata, il trenino, la culla, il cuore, la cresta, il balletto intorno alla bandierina (quando non viene presa a calci e spezzata), l’arciere, la statua, le capriole, il dito a mo’ di ciuccio in bocca, il lustrascarpe, la telefonata con l’ausilio di uno dei parastinchi come auricolare, avvicinando le mani all’orecchio o alla bocca per zittire o far sentire, la censurata “sniffata” all’erba del campo o, ancora, il selfie con il cellulare, va di moda non esultare per il goal segnato alla squadra nella quale si era precedentemente militato, in segno di rispetto verso i precedenti tifosi e la precedente squadra.
L’iniziativa, forse lodevole, ma sicuramente curiosa, non può non destare qualche interrogativo sulla forma di “discriminazione” attuata a danno verso gli attuali tifosi del club, dove il “presti pedatore” milita.
E’, infatti, anche grazie al loro supporto economico e morale, fornito ai botteghini e sugli spalti che quello stesso lavoratore della palla, così rispettoso verso il passato, può ora militare in un diverso club, continuare la carriera e guadagnare, gonfiare ancora le reti anche a quella stessa società che, solo pochi mesi prima, lo aveva osannato sotto altri colori.
Non sono anche i nuovi tifosi meritevoli di altrettanto rispetto e affetto?
Non sono titolari pure loro del diritto di godersi l’esultanza per il goal “rifilato” al club di provenienza dell’atleta?
Forse, il rispetto non si dimostra soffocando in gola un legittimo urlo di esultanza per una gioia “professionalsportiva” e, forse, quegli stessi tifosi che lo osannavano in precedenza si sentirebbero maggiormente rispettati dal beniamino di un tempo proprio nel vederlo ripercorrere le stesse belle gesta che lo avevano reso speciale e nel vedere la sua esultanza sincera e mai di cattivo gusto o fuori delle righe.
Senza tanti “forse”, il rispetto lo “dobbiamo” piuttosto sempre verso i giovani, per favorirne la crescita in modo equilibrato, affinché un domani non abbiano a imitare passivamente i nostri comportamenti, specie quelli più negativi e possano, invece, crearne di nuovi, positivi, coerenti, sempre rispettosi degli altri oltre che di se stessi: questo, anche, per non dover più assistere all’esultanza “sincera” dopo un goal segnato con le mani o in palese dispregio delle regole sportive.
Esultare, alla fine è una necessità piacevole, una valvola di sfogo che è manifestazione di gioia e spontaneità, sempre moderata e con il debito rispetto per chi subisce un goal, squadra e tifosi avversari compresi: strozzare un legittimo urlo in gola potrebbe apparire persino ipocrita e persino, all'opposto, irrispettoso. Il calcio inglese, con lo spettacolo offerto sul campo dai principali protagonisti del pallone e ora anche dai tifosi sugli spalti, potrebbe riportarci sul pianeta terra dell'esultanza.

tratto da "Nella valigia dell'allenatore - Viaggio di un allenatore consapevole" (III edizione marzo 2014)


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