Pigmalione, protagonista de “Le metamorfosi” di Ovidio, era uno scultore che aveva scolpito una statua di donna, Galatea, di cui si era follemente innamorato e che per miracolo della dea Afrodite, mossa a compassione per il povero Pigmalione ammalato d’amore, fu trasformata in fanciulla vivente: in sintesi, Pigmalione aveva immaginato la donna ideale e l’aveva modellata a suo piacimento.
Con l’espressione “effetto-Pigmalione”, ripresa da V.F. Birkenbihl *, si indica il caso in cui «un insegnante si fa un’idea ben precisa del suo allievo e lo plasma in base all’idea stessa»; in questo modo, «l’idea che uno ha di un altro, si comunica a lui, anche se non è formulata verbalmente» e quindi «la forza delle aspettative che nutriamo nei confronti di un altro è tale da poter già di per sé da sola influenzare il suo comportamento».
Proviamo a pensare, infatti, agli allievi che gestiamo o che abbiamo in passato allenato: tra di loro c'è sicuramente qualcuno che aveva o si presentava con un “di più” rispetto agli altri, per tecnica o senso di responsabilità, partecipazione attiva e propositiva al gioco, abnegazione o altro ancora.
Nella nostra mente, sarà scattato, in più di un’occasione, il meccanismo “umano” di giudicare l’atleta in base all’idea che ci siamo fatta di lui, aspettandoci sempre qualcosa in più o di diverso rispetto agli altri. In noi, infatti, si era accesa quella fiammella, che alimenta le nostre aspettative soddisfatte da una prima buona impressione della prestazione di un certo livello, che avvicina l’atleta al nostro modello di calciatore ideale.
Per questo motivo può essere accaduto che lo abbiamo trattato diversamente rispetto agli altri, con un tono di voce pacato o maggiormente rassicurante, un sorriso in più, con maggiori informazioni, costruendogli attorno un clima più favorevole, proponendogli un diverso metodo di insegnamento che, alla fine, avrà pure giovato alla sua prestazione.
A volte, un nostro atteggiamento o un’aspettativa potrebbero persino aver influenzato la sua prestazione, grazie a una maggiore dose di sicurezza o importanza da lui percepita. Questo è proprio il caso di giocatori sopravvalutati o per i quali certi allenatori stravedono.
Tuttavia, l’effetto di cui parliamo non sempre si basa su una perfetta corrispondenza dell’idea alla realtà dei fatti o delle persone e può danneggiare l’atleta qualora egli non si senta o non sia in grado di mantenere ciò che noi, magari sbagliandoci di grosso, gli abbiamo “attribuito”. Il sovraccarico, in certi casi, non potrà che nuocergli: la cautela, in questi casi, come le prove di “appello” non potrà che essere di giovamento al rapporto allenatore-allievo per non pagare le conseguenze dello scarto tra reale e ideale.
V.F. Birkenbihl, in op.cit., pag. 230 e 231
da "Nella valigia dell'allenatore - Viaggio di un allenatore consapevole”
terza edizione, marzo 2014