«Dai scaldati, adesso tocca a te». Ecco una delle frasi che abbiamo pronunciato un’infinità di volte ai nostri giocatori della panchina. L’obiettivo? Apportare quei correttivi necessari per consentire alla squadra di condurre al termine la partita nel migliore dei modi, ordinaria amministrazione.
Suona strano e inimmaginabile, piuttosto, che sia l’allenatore a pronunciarle proprio a se stesso, a ripeterle nella propria mente, per entrare sul terreno di gioco, al fine di sopperire a una mancanza di organico o risolvere un problema impensabile all’inizio della stagione. E quando il mister scende in campo, il suo coinvolgimento è totale. Ma i giocatori, in quale stato d’animo versano? Alcuni increduli e imbarazzati si guardano e s’interrogano, «Come, il mister gioca anche lui?» oppure «Bene, ci darà una mano», poi magari ci scappa persino «Chissà che figuraccia, ma guarda in che razza di società sono capitato!».
Può succedere che in terza o seconda categoria, quando non si dispone di un settore giovanile o quando le squalifiche, gli infortuni e i turni di lavoro hanno decimato l’organico tutt’altro che folto, sia necessario fare di necessità virtù: per questo potrebbe capitare che nel prepartita l’allenatore, nel dare le istruzioni alla squadra, abbia previsto anche i casi per un suo eventuale coinvolgimento diretto a partita iniziata.
E’ il 60°, l’allenatore si sfila il giubbotto imbottito e la tuta, le scarpette sono ingrassate, perché l’esempio ai ragazzi è fondamentale. Il riscaldamento è stato eseguito come da manuale, come da istruzioni fornite partita dopo partita: guai a entrare a freddo. Il sostituto è stato scelto, la zona del campo da presidiare anche, proprio come il ruolo: bisogna essere utili alla squadra o almeno arrecare il minor danno possibile ed evitare di rendersi ridicoli, agli occhi dei giocatori e ai propri. Palla ferma e sostituzione chiamata. Chi esce dal campo, ha il volto stremato dalla fatica, l’allenatore ne incrocia la smorfia di dolore per quel colpo subìto che l’ha costretto a lasciare per fargli posto. Si entra nel vivo, ma a questo punto l’allenatore è uno dei 22 a tuffarsi nella mischia, con la grinta giusta e la voglia di far bene sin dal primo pallone toccato. L’importante è iniziare bene, l’ha sempre raccomandato, pochi palloni semplici toccati all’inizio e poi via, pedalare! Si vorrebbe incitare e dare consigli ai ragazzi, si vorrebbe urlare «c’è una partita da raddrizzare, da portare a termine, coraggio ragazzi!». Non si può, ora il mister è come loro, uno di loro e, in fondo in fondo, spera di cavarsela dignitosamente.
La partita è finita, il mister la viviseziona al di fuori della linea laterale. Le scarpette sono imbrattate di quel terriccio tipico di quei campetti scalcinati della periferia nella quale i suoi ragazzi affrontano gli avversari e soprattutto se stessi. Il battito cardiaco ha ripreso il suo tam tam ordinario. Lo stomaco è ancora chiuso: la fatica e la tensione giocano brutti scherzi, a volte. A questo punto è giusto rivolgere una parola d’incoraggiamento ai ragazzi ma guai a parlare della partita, soprattutto se è andata male. Lo faremo al primo allenamento, a mente lucida, con serenità, dopo aver pensato e analizzato, 10, 100, 1000 volte all’intera partita e a quel pallone sfilato goffamente sotto la pianta del piede, alla tenacia dimostrata in campo, buffa e tenera allo stesso tempo, ai ragazzi, i suoi giocatori, veramente per l’ultima volta compagni di squadra. «Forse non lo sai ma pure questo è amore…». *
*Frase tratta dalla canzone “Stranamore” di Roberto Vecchioni, dall’album “Calabuig, Stranamore e altri incidenti”, 1978
Da "Nella valigia dell'allenatore - Viaggio di un allenatore consapevole". III ed. marzo 2014