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CORSI DI AGGIORNAMENTO: CROCE O DELIZIA DI UNA PROFESSIONE?

Corsi aggiornamentoDa sempre sono stato un convinto sostenitore che, nella vita, non si è mai troppo preparati, anche perché non si nasce “imparati”.
Non si conosce e non ci si conosce mai abbastanza, non ci si può sentire mai arrivati.
Da sempre, ancor prima che ci fosse un obbligo in tal senso, sono stato un convinto promotore dell’aggiornamento, nella propria professione o nell’hobby che uno si è scelto, a maggior ragione se, in quest’ultimo caso, si va persino a impattare e a relazionarsi, influenzandone i comportamenti e a volte le sorti, con altre persone. Da sempre e per sempre l’aggiornamento, in continuo. E laddove non si tratti di obbligo, dovrebbe essere il buon senso o la semplice curiosità a spingerci a migliorare, a beneficio nostro e, dunque, di chi ci sta vicino. E proprio negli ultimi anni, la maggior parte delle professioni, soprattutto degli ordini professionali, vuoi per decreto, vuoi per statuto, vuoi per semplice seguire una vera e propria moda, si è dotata e ha adottato corsi di aggiornamento professionale obbligatori, sugli argomenti più disparati e disperati, per un numero di ore asetticamente e aprioristicamente individuate, spesso di dubbia qualità ed efficacia. Se ci sono alcune professioni - pensiamo agli avvocati o ai medici - che non possono non aggiornarsi su nuove leggi, sentenze, procedure, patologie, terapie e farmaci, ce ne sono delle altre, come ad esempio i giornalisti, i cui aggiornamenti, le notizie e la ricerca delle notizie in particolare, costituiscono l’oggetto e l’obiettivo della professione stessa.
A volte, l’aggiornamento è persino fuorviante. Mi riferisco, in particolare, a un corso organizzato da un ordine regionale sul progetto di ricostruzione di un serbatoio italiano per le nazionali del futuro e la necessità della modifica della legge Bosman per il sistema basket. A prescindere che non esiste una legge Bosman, ma semmai una sentenza Bosman, in particolare la Sentenza del 15.12.1995 sub. Procedimento n. 415/93 – complimenti per la svista proprio da chi vuole aggiornare per obbligo – è proprio la notizia stessa che deve essere ricercata dai giornalisti, in quanto essenza proprio del loro lavoro, senza che qualcuno li formi e li informi in tal senso. Ve lo immaginate un giornalista che viene aggiornato su una notizia o su argomenti che dovrebbe lui stesso scavare ed approfondire? Sarebbe come dire al pesce: eccoti l’acqua e l’esca, ora nuota e mangia. A parte un po’ di deontologia e qualche nuova legge su questo o quell’aspetto civile, penale o processuale, di che cosa parliamo? E, soprattutto, per quante ore obbligatoriamente ne parleremo? Nell’attesa che qualcuno si possa inventare anche un corso di aggiornamento su come e quanto cuocere un uovo alla coque o quanto è buono il formaggio con le pere, per una manciata di 3 o 7 crediti formativi, anche il mondo dello sport non si è fatto mancare nulla al riguardo. Pensiamo, infatti, alle 15 ore di aggiornamento obbligatorio in tre anni per gli allenatori di calcio, calate dall’alto a livello europeo. Sono tante, sono poche?

Se per aggiornarsi sulle tecniche e tattiche e metodologie di allenamento, oltre alla buona volontà, bastano dei buoni libri, come ce ne sono veramente tanti in vendita, ci si può aggiornare analogamente anche grazie al contributo e confronto di colleghi, rubando con gli occhi gli allenamenti o le partire di squadre professionistiche, addirittura con il supporto gratuito di alcuni gruppi su Facebook. Vogliamo davvero credere che sia necessario ancora aggiornarsi, per dovere divino, su tecnica e tattica, specialmente quando non c’è nulla di nuovo all’orizzonte? Non ci accorgiamo che il bagaglio e le informazioni possono essere attinte anche altrove, senza obbligo e, magari, a costo zero? Del resto, chi si aggiorna ed è all’avanguardia dovrebbe avere – usiamo il condizionale – maggiori opportunità di collocamento e, persino, essere scelto proprio sulla base di ciò che è, sa e sa far fare agli altri: il giusto riconoscimento per il suo impegno e sacrificio, persino monetario. Dovrebbe, poiché sappiamo benissimo che i criteri di scelta, spesso, sono ben altri, anche in presenza di grossolani danni agli utenti e disallineamenti dal sistema premiante. E poi, chi le stabilisce e con che criterio quante ore siano necessarie o sufficienti? 3 ore su qualcosa di importante e nuovo valgono ben più di 15 ore di materia trita e ritrita e filosofeggiata ad arte.

E perché non si affrontano a livello federale argomenti delicati come “responsabilità”, “primo soccorso”, “defibrillatore”, “bullismo” o “violenza sui minori”? Anche se argomenti di tale fattispecie – che corrispondono a fatti tristemente accaduti e caduti persino sulle spalle degli allenatori - non fanno classifica e sono scomodi, proprio perché magari spaventano, ne sappiamo e ne sanno davvero qualcosa, soprattutto per prevenire le situazioni di pericolo e i danni che ne conseguono? La verità è che un corso di aggiornamento è tale quando aggiorna, cioè dice qualcosa di nuovo, dà un valore aggiunto o, diversamente, propone alcuni argomenti già affrontati ma proposti da un altro punto di vista, comunque diverso e nuovo. La verità, ancora, è che un corso di aggiornamento, obbligatorio o meno che sia, deve rispondere all’esigenza o quanto meno alla curiosità di due categorie di persone: i corsisti direttamente e, indirettamente, anche i destinatari o fruitori degli argomenti dell’aggiornamento imposto o proposto ai corsisti. Spesso, purtroppo, assistiamo a delle vere e proprie repliche, dei dejà vu, corsi indetti più nell’interesse dei docenti o degli ordini professionali che per quello dei corsisti stessi, con conseguente inutilità, inadeguatezza, senso di smarrimento e sfiducia per quanto svolto.

Aggiornamento dunque? Sì, sempre, ma con moderazione e per riscontrare le effettive e pratiche esigenze dei destinatari, magari anche interpellandoli su ciò che possa loro servire ed essere utile. Comunque sempre a beneficio della qualità e non della quantità.


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