Mondiale 2022 visto da Francesco Ratti

PERCHÈ ANDARE IN QATAR? PERCHÈ NON ANDARE IN QATAR? Intervista a Monica Giorgi

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Innanzi tutto grazie, Monica, per aver accettato la mia invadente richiesta ed esserti lasciata portare dai “gesti bianchi” del tuo sport per eccellenza al discutibile ambito del calcio professionistico nella nostra inconsueta rubrica.

Perché andare in Qatar?

Perché non andare in Qatar?

Sorprendentemente sembra che una scelta non si sia nemmeno posta e che ciascuna delle nazionali che parteciperanno al campionato, o che ambivano a parteciparvi, sia stata guidata esclusivamente dal risultato delle qualificazioni: nessun dubbio, in nessuna parte del mondo.

Premesso che personalmente non avrei nemmeno preso in considerazione l’eventualità di una partecipazione con una squadra con i colori nazionali, ma nemmeno dell’assegnazione della manifestazione al Qatar, ricordo alcune situazioni nelle quali i comitati olimpici o le federazioni avevano preso una posizione:

  • 1956: alle Olimpiadi di Melbourne Spagna, Olanda e Svizzera non mandano i propri atleti per protesta contro l’invasione sovietica dell’Ungheria; la Cina per la presenza della rappresentativa di Taiwan; Egitto, Iraq e Libano contro Israele, Francia e Gran Bretagna, per la crisi di Suez
  • dal 1964 al 1992 è stata vietata la partecipazione alle Olimpiadi del Sudafrica per la politica dell’Apartheid
  • 1973: in occasione dello spareggio per partecipare al mondiale di calcio del 1974 l’U.R.S.S. non invia la nazionale in Cile per protesta contro il regime di Pinochet 
  • 1976: è ancora l’Unione Sovietica a rifiutare di giocare contro il Cile la semifinale di Coppa Davis; la rinuncia costerà alla squadra l’esclusione dalla competizione per le due successive edizioni 
  • 1976: l’Italia vince la Coppa Davis con il Cile, qualificato per la rinuncia dell’Unione Sovietica nella semifinale
  • 1980: 65 paesi disertano le Olimpiadi di Mosca per protesta contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan
  • 1984: 14 paesi dell’Europa dell’est non partecipano alle Olimpiadi di Los Angeles per quello che viene definito un “sentimento anti sovietico” da parte degli USA

Partecipazione o no, cerco di mettere in relazione Qatar 2022 con Cile 1976 e trovo delle differenze evidenti:

  • benché in entrambi i casi si tratti di una manifestazione a livello mondiale, per il Cile si era mobilitata mezza Italia, esprimendo solidarietà e su posizioni contrarie si era spaccato l’arco costituzionale, fino alla scelta, non scontata fino all’ultimo, di partecipare, mentre contro le gravissime e stabili violazioni dei diritti umani e dei lavoratori in Qatar solo la stampa anglosassone ha approfondito l’argomento, mentre in Italia, e non solo, non se ne è discusso adeguatamente 
  • nel 1976 si trattava di tennis, mentre nel 2022 di calcio
  • a differenza del 1976 in Cile, nel 2022 in Qatar colossi industriali multinazionali - e italiani - hanno avuto appalti di cifre da Mille e Una Notte per l’allestimento delle infrastrutture

Tutti punti che non porterebbero a conclusioni dignitose per il pianeta calcio nel mondo e per l’etica della politica e dell’economia.

  1. Tutto ciò premesso, Monica, che posizione hai avuto tu nel 1976 riguardo alla finale di Coppa Davis?

Ero entusiasta e convintissima.

L’occasione del momento offriva alla passione sportiva e all’impegno politico di manifestarsi anima e corpo.

Sport e studio alla scuola dei tempi in cui adolescente la frequentavo erano visti come il diavolo e l’acqua santa. Che balzo di tigre si è compiuto; quanto interesse economico e politico coinvolge oggi il mondo dello sport!

Ero così entusiasta da provare gelosia per quei maschi che avevano da spendere una simile occasione. Ma io non ero loro e intanto, a mia insaputa, covavo qualcosa differente dall’invidia…

Ero convinta che non andare a Santiago a giocare la Davis sarebbe stata una protesta netta e senza mezzi termini. Sabotare con un’assenza l’intento del regime assassino di Pinochet a darsi una facciata di normale condivisione sportiva e, all’indomani del golpe, mandargli per aria la “festa” di status quo che una manifestazione mondiale come la Davis garantiva, rappresentavano ai miei occhi di anarchica impegnata un di più di un dispetto e un di meno di un abbraccio a vuoto. Con rimbalzi imprevisti.

Facevo tutt’altro che mistero delle mie convinzioni; esigevano di essere dichiarate ovunque mi trovassi anche nell’ovattato ambiente del tennis. 

  1. I tuoi colleghi che l’hanno giocata e vinta avevano partecipato con leggerezza, o ci sono stati conflitti interiori tra l’ambizione sportiva e la coscienza di uomo?

Ne discussi a tu per tu solo con Adriano [N.d.R.: Panatta], amico e simpatizzante socialista. Gli altri, manco ascoltavano. Nella migliore delle ipotesi reagivano con un’alzata di sopracciglia e subito sviavano su altro argomento.

Riguardo a un loro possibile conflitto di coscienza, niente più di ciò so dirti. Vallo a capire l’animo umano… perché recentemente nel docu-film La squadra, Panatta Barazzutti Bertolucci e Zugarelli si sono dichiarati contenti nel venire a conoscenza della liberazione di due prigionieri cileni dirigenti comunisti, in cambio di una composta e corretta partecipazione italiana alla finale. Proprio come se nulla fosse accaduto e stesse accadendo.

Il rammarico per la scelta di Adriano non mancò di farsi sentire, anche con toni accesi. Oggi sono più propensa a rispettarne le scelte. Sento di dover essere riconoscente a chi fa cose diverse da me, se non altro perché così mi sento più libera - o meno costretta - a fare ciò che faccio. Curioso: solidarietà e solitudine hanno la stessa radice.

  1. Potendolo fare, che decisione avresti preso per il mondiale in Qatar?

Se avessi potuto, come avrei boicottato il mondiale di calcio in Qatar? Di certo non avrei potuto prescindere - e non sto prescindendo - dal lavoro di informazione e di denuncia di cui grazie a te sono venuta a conoscenza . Un tale impegno, anche se nell’immediato sembra sortire poco rispetto alla grandezza dell’ideale che lo sostiene è indispensabile non soltanto per chi abbia a cuore la verità, la giustizia e il bene ma, mi piace credere, anche per chi ci appare esserne indifferente. Gandhi diceva: la verità è antica come le montagne.

Non intendo istigare alla rassegnazione; si tratta di non demordere proprio quando le cose ci sembrano non andare come vorremmo.

Esistono precedenti in ambito calcistico verso i quali è spinta la mia attenzione.

La maglietta indossata da Totti per la liberazione di Giuliana Sgrena, la giornalista del Manifesto presa in ostaggio durante la guerra in Iraq e il rifiuto di stringere la mano a Trump da parte di Megan Rapinoe, la calciatrice della nazionale statunitense campione del mondo.

Sia nell’uno che nell’altro caso risalta una vena preziosa: gesti minimalisti, irrisori e sorprendentemente efficaci. La scritta liberate Giuliana sul petto di Totti smosse uno dei carcerieri, suo tifoso, a dubitare quantomeno sull’opportunità di quel sequestro. La non-stretta di mano di Megan ha mandato a soqquadro il cliché cerimoniale della Casa Bianca e messo in fibrillazione l’amministrazione addetta.

Basta poco a sbrecciare i muri del potere e a far crescere le simpatie per la causa che sta a cuore, se si fa un po’ di luce dentro di sé. Una luce non fioca e nemmeno accecante. Un gioco di parole che non è uno scherzo la definisce meglio: il potere di chi non ha potere - un riflesso strabico scattato sul filo del fuorigioco.

  1. Nel 1976 gli Inti-Illimani, da soli, con una canzone, sono riusciti a sensibilizzare l’opinione pubblica più che Amnesty International, Human Rights Watch e il Sindacato Internazionale dei Lavoratori Edili messi insieme nel 2022.

La canzone degli Inti-Illimani?! 

El pueblo unido jamas serà vencido, inno senza patria e slogan urlato nelle piazze di mezzo mondo - ma già allora ammantato di retorica, coniugato nei modi e nei tempi in cui potere costituito e politica erano schiacciati l’uno sull’altra - sarebbe stato vivificato da pratiche inattese quanto gioiose dal volto di donna.

Gruppi di parola, l’autocoscienza, il personale è politico, il partire da sé e non farsi trovare (nel già detto, già fatto, già pensato…) non erano calibrate formule di partito, erano voce dirompente che spiazzava le rigide strutture dei sistemi patriarcali. Le lotte politiche e sociali del popolo unito occorrevano unite nella differenza, in buona autonomia-collettiva e senza leader pronti a credersi misura unica nel mettere al mondo il mondo.

A distanza di quarant’anni, come stessi rivivendo la scena in diretta, mi preme raccontare di quella volta quando, non per caso, l’amica insieme alla quale eravamo andate a volantinare, scaraventò tutta la pesante risma contro il palco degli Inti-Illimani, sbeffeggiandoli al ritmo scanzonato della loro canzone. Nella piazza gremita di Locarno il concerto faceva sfoggio di sé, ampiamente reclamizzato e riccamente sponsorizzato com’era dagli stessi istituti finanziari implicati nel golpe.

Cosa voglio dire? Le cose cambiano - è evidente - e cambiano secondo meccanismi misteriosi che noi non controlliamo. C’è sempre altro e, a prescindere da cosa si pensi in merito, che sia così è un bene. Non per deresponsabilizzarsi ma per dare un limite al proprio delirio di onnipotenza. I totalitarismi di ogni epoca e colore si basano sulla pretesa di imporre agli altri il proprio stesso identico sogno.

Ci si preoccupa per il futuro dei giovani e si accantonano come se non esistessero le loro lotte nel presente - Greta, i Fridays for future, soltanto per fare un esempio; ci preoccupiamo per avvalorare i discorsi con coerenza teorica e in pratica la nostalgia del tempo che fu funge da consolazione alle ingiustizie del presente. C’è altro in senso personale e impersonale dal portare acqua al proprio mulino…

  1. Credi che possa esistere un limite oltre il quale l’interesse economico non la vinca sullo stomaco?

Alla questione morale sulla necessità di porre un limite tra economia e stomaco rispondo con un’altra domanda: chi dovrebbe metterlo? Lo stato, il governo di turno, le multinazionali, i poteri occulti?

Lascio la contraddizione in sospeso. Ingenua e stupita, mi alleggerisco con uno slice di battuta su una considerazione. L’autogoal, lapsus sfuggito durante una partita, nulla toglie alla verità del risultato. Almeno che non si sia strizzato l’occhio al calcio scommesse.

 

Grazie, Monica, per la disponibilità e la sensibilità dimostrate, benvenuta tra noi e a presto per un altro tuo intervento su www.asolacalcio.it


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