Il match di sabato scorso fra Italia e Spagna ha riportato alla luce, se ancora ce ne fosse bisogno, il motto secondo cui il nostro è il Paese degli allenatori. Ne sono testimonianza i numerosi commenti dei mass media volti a crocifiggere il CT Ventura, reo di aver commesso scelte tattiche al limite dell’indecenza.
Per fortuna, il patentino da allenatore professionista ancora non viene assegnato dopo un certo numero di comparsate televisive.
L’anziano allenatore avrà pur commesso qualche errore, sia chiaro, ma ha affrontato l’avversario come ha sempre fatto e con gli uomini a disposizione.
Purtroppo i vari Maldini, Donadoni e Baggio hanno lasciato il calcio da qualche anno, e di questo il buon Gian Piero non ha colpe. Bisognerebbe ammettere la nostra inferiorità tecnica e tattica, anche se la vittoria degli azzurri contro gli iberici nello scorso Europeo ha riaperto l’annoso dibattito tra quale sia, in considerazione della “logica del risultato” tipicamente italica, la scuola calcistica migliore.
Da qualche anno a questa parte, anche in Italia si è tornati a produrre talento: vedi i recenti risultati delle nazionali Under 20 e Under 21.
La Spagna rimane però di un altro pianeta, e la bravura di Lopetegui è stata quella di integrare giovani emergenti e campioni di comprovata esperienza, in un contesto di gioco collaudato negli anni. Questo ha portato le Furie Rosse a ritrovare le motivazioni smarrite per strada, rilanciandosi così nel panorama mondiale in vista di Russia 2018. La tecnica degli interpreti e la capacità nel dominio del pallone saranno armi fondamentali in vista degli impegni più probanti, contro avversari di altra caratura.
Se si esclude il 2010, la storia della Roja ai Mondiali di Calcio è ricca di delusioni. Nei campionati fascisti del 1934, la doppia sfida con i padroni di casa porta la firma di René Mercet, l’arbitro svizzero che annulla due reti agli spagnoli e spiana la strada della vittoria finale a Meazza e compagni.
La nazione iberica vive una breve fase repubblicana, iniziata nel 1931 con l’esilio del re Alfonso XIII e terminata con la Guerra Civile. La successiva dittatura di Francisco Franco Bahamonde, durata fino al 1975 e di stampo conservatore-cattolico, elimina ogni forma di opposizione e non rimane al passo con i paesi dell’euro-zona. Il Desarrollo, ovvero la crescita economica spagnola, avrà luogo solo negli anni ’60 e porterà a una forte stratificazione sociale.
I risultati della nazionale di calcio ai mondiali, durante il franchismo, sono imbarazzanti. Dobbiamo attendere il ritorno della monarchia, e precisamente Mexico 1986, per rivedere la Spagna ai quarti di finale: la rinascita degli iberici porta la firma del PSOE di Felipe Gonzalez in politica e di Emilio Butragueno sul campo.
Il resto è storia recente: Zapatero e i diritti civili, Del Bosque e il tiki taka.
Rivedremo la Roja sul tetto del mondo?