Russia 2018 visto da Francesco Ratti

RUSSIA 2018: I PADRONI DI CASA

Cari amici di Asola e non solo, eccomi di nuovo tra voi. E' trascorso qualche mese dall'epilogo di France 2016, che ha visto perire il calcio con la vittoria del Portogallo di Fernando Santos. Ma lo sport più democratico e popolare al mondo è come l'Araba Fenice, che rinasce dalle proprie ceneri dopo la morte: in fondo il calcio vive e alberga nel cuore di ogni appassionato, motivo per cui il disamoramento dura giusto il tempo di un'estate.

Quando Paolo Balbi mi ha proposto di sviluppare, con largo anticipo rispetto alla fase finale, una rubrica sui mondiali di Russia 2018, non ho potuto che rispondere “presente”. Paolo è un vulcano di idee e spende molto del proprio tempo, a titolo gratuito, per garantire al futbol un adeguato profilo culturale. E poi ci siete voi: al vostro calore non è possibile rinunciare.

Sergei Ignashevich 2014

Inizieremo la lunga marcia di avvicinamento alla finale del Lužniki, ovvero Stadio Lenin, analizzando le possibilità di vittoria finale dei padroni di casa. Pari a zero. In effetti la Russia vive il periodo più difficile della propria breve storia, non solo dal punto di vista calcistico. Nonostante la controversa figura di Putin abbia recentemente trovato in Italia numerosi sostenitori, l'economia russa stenta a uscire dalla recessione, complice la scarsa diversificazione e la mancata redistribuzione della ricchezza.

In ambito sportivo, non si placano le polemiche relative al presunto “doping di stato”, che coinvolge una trentina di sport, atletica leggera in primis. Infine, la fallimentare spedizione dell'ultimo Europeo ha restituito una nazionale logorata, incapace di fare risultato, priva di un gioco collettivo e senza un briciolo di talento all'orizzonte. In campo ci va ancora l'anziano Ignaševič.

Quando parliamo di Russia, dovremmo sforzarci di non fare commistione con la storia dell'Unione Sovietica. Altrimenti cadremmo nell'errore, già commesso dalla FIFA, di porre in posizione subalterna le restanti ex repubbliche sovietiche. Se da un punto di vista politico-sociale l'URSS ha rappresentato la speranza di una società più equa, il calcio sovietico ha prodotto risultati, talenti e sprazzi di gran gioco.

Il processo di dissoluzione dell'Unione, sfociato nel 1992 con l'indipendenza dei 15 Stati post-sovietici, ha generato nel corso degli anni autoritarismo, diseguaglianza e corruzione. Il calcio, da sempre specchio della società, offre attualmente uno scenario abominevole. Basti leggere il ranking FIFA aggiornato, con Ucraina al posto numero 30 e la Russia al 56, per non parlare della Bielorussia al 74imo. Uno schiaffo a Belanov, Yashin e Alejnikov.

Belanov 2

La soluzione pro tempore del 1992, che portò la Comunità degli Stati Indipendenti a disputare gli europei in Svezia, spianò la strada alla formazione di una buona nazionale russa. All'esordio internazionale dei ragazzi di Sadyrin, infatti, parteciparono alcuni giocatori provenienti dalle altre repubbliche, cui fu proposta la cittadinanza russa.

Caso emblematico fu quello del capitano Onopko. Grazie al talento di Mostovoj, Karpin e Salenko, la squadra conquistò agevolmente la fase finale del Mondiale 1994, salvo poi essere eliminata nel gruppo B. La recessione economica, gestita in maniera indecorosa dal sempre più ubriaco Yeltsin, ebbe i suoi riflessi negativi anche sul calcio. Dopo una parziale resurrezione nel 2002, con l'esplosione del talento purissimo di Dmitrij Syčëv, i russi hanno vissuto anni molto difficili, se si esclude la parentesi Hiddink e la semifinale di Euro 2008.

Nemmeno il faraonico ingaggio del tecnico italiano Fabio Capello, in occasione del Mondiale 2014, ha saputo offrire lustro alla Federazione Russa. Forse ciò che servirebbe è un rinnovamento tecnico e tattico, a partire dalla base.

Se a Putin si chiede maggore lungimiranza in politica estera, al fedele Ministro dello Sport Mutko una maggiore progettualità. Anche perché ai Mondiali non manca poi molto.


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