Nell’arco della mia lunga collaborazione con gli amici di Asola, non sono mancati moment di gioia di fronte ai, seppur timidi, segnali di risveglio di quella scuola calcistica che affonda le proprie radici nel Danubio.
Un gioco fatto di abilità tecnica, estetica, fraseggio e interscambio di posizioni, una filosofia che i fuoriclasse dei tempi moderni hanno saputo attualizzare per portare le proprie squadre ai vertici del calcio intercontinentale. Se il football nasce in Inghilterra quantomeno da un punto di vista regolamentare, lo sviluppo del gioco tra gli anni Venti e i Trenta avviene in due aree geografiche ben distinte: il Sudamerica e l’Europa Centrale. La prima si consoliderà nel tempo come una certezza nella mappa calcistica mondiale, la seconda subirà un lento e doloroso declino. Ora, siamo ancora molto lontani dal vedere i nipoti di Puskas dominare la scena, ma osservando il tabellone di Euro 2024, un barlume di speranza prova a farsi spazio.
Nel raggruppamento D, l’Austria proverà a strappare la qualificazione alle più quotate Francia e Olanda, forte di una guida tecnica che risponde al nome di Ralf Rangnick. Il tedesco, ispiratore di un’intera generazione di allenatori, proverà ad emulare le gesta di un illustre predecessore: Hugo Meisl. Una delle figure più influenti dello sport austriaco, nella seconda metà degli anni Venti Meisl getta le basi del Wunderteam, la nazionale capace di vincere la Coppa Internazionale nel 1932.
Lo fa per mezzo di un sistema di gioco che si discosta totalmente dal “kick and run” di derivazione anglosassone, ma al contrario premia le qualità tecniche dei propri interpreti nel fraseggio. Il massimo interprete del Wunderteam è Matthias Sindelar, il Mozart del calcio, trequartista sublime successivamente eletto come sportivo austriaco del secolo. Fisico asciutto, elegante e raffinato, Sindelar viene ricordato anche per le altissime percentuali realizzative. A seguito della Anschluss del 1938, Matthias non accetterà di giocare per la Germania nazista e, un anno più tardi, morirà in circostanze misteriose. Arrivarono poi gli anni di Krankl, Prohaska, Polster, Herzog, Konsel, ottimi giocatori che lasciarono il segno nello sport nazionale, ma senza raggiungere quel picco vertiginoso di inizio anni ’30. Oggi la nazionale di Rangnick, novello Happel dei giorni nostri, si aggrappa alle reti di Arnautovic e alla solidità del proprio centrocampo.
Parlare di Ungheria è un esercizio storico che necessariamente ci deve riportare agli inizi degli anni ’50, alla gloriosa Honved di Budapest, a un modulo di gioco innovativo.
È la nazionale allenata da Sebes e che viene definita Aranycsapat, la squadra d’oro, una delle compagini più belle e iconiche della storia del calcio. Si è tanto parlato di Puskas, il genio, di Kocsis, eccellente colpitore di testa, di Hidegkuti, il centravanti di manovra, ma quella squadra ruotava attorno a Bozsik, forse il mediano più forte e completo di sempre. Tutto finì in quel di Berna, nel mondiale 1954, dove la Germania Occidentale riuscì a vincere una finale dalle mille ombre. La nazionale ungherese saprà offrire al gioco del calcio altri talenti del calibro di Florian Albert, l’Imperatore, Lajos Detari, il genio passato anche per l’Italia, il leggendario portiere Kiraly con la sua tuta, pur raggiungendo in rare occasioni le fasi finali delle principali competizioni.
La squadra di Rossi ha esordito come peggio non poteva a Euro 2024, anche a causa di una difesa ai limiti del mostruoso, e dà l’impressione di essere troppo dipendente dal talento di Szoboszlai e Sallai. In difesa gioca Orban, fortunatamente solo un omonimo del Primo Ministro. Presidente che, negli ultimi anni, sta investendo molte risorse in alcune squadre o centri di formazione. Naturalmente, a fini propagandistici.
Uno dei principali interpreti della scuola danubiana è senza dubbio Josef Masopust, trequartista raffinato ed elegante della Cecoslovacchia unita di inizio anni ’60, Pallone d’Oro e icona di una nazione che non esiste più. Ma Cecoslovacchia è sinonimo anche di Euro 1976, Panenka e Ivo Viktor.
La scissione del paese nel 1993 porta a due entità separate, la Repubblica Ceca e la Slovacchia, con destini sportivi ben diversi. I cechi vivranno il momento di massimo splendore nel decennio tra il 1996 e il 2006, grazie a talenti del calibro di Nedved, Berger, Poborsky, Smicer, Repka, Koller, Jankulovski, Cech, Grygera, Galasek, Baros, Plasil, Ujfalusi e lo splendido Rosicky. La fase del successivo declino coincide con la crescita dei “cugini poveri” di Marek Hamsik e Ciccio Calzona.
A Germania 2024 vedremo entrambe le nazionali, per la verità con scarse ambizioni, certi che tempi migliori dovranno ancora venire.