Europeo 2020 visto da Francesco Ratti

WOULD YOU LIKE ANOTHER CUP OF TEA, DEAR?

medaglie


Would you like another cup of tea, dear?
…sono le prime parole di una voce "fuori campo" in una bella canzone dei Jethro Tull, si tratta di War Child, del 1974 .
Buon ascolto  https://youtu.be/3avz7f1lqEU 

Ringraziamo Francesco Ratti, che ci ha accompagnato in questo percorso e chiudiamo la rubrica con qualche considerazione di carattere generale.

Una premessa indispensabile: la mia cultura, per limitata che sia, è tuttavia sufficiente a non permettermi di immaginare una moltitudine di milioni di individui omogenea; i suoi componenti rimangono, inglesi o marziani, tanti individui, ognuno con le proprie caratteristiche distintive.
Altro è analizzare i comportamenti e le scelte di gruppi piccoli, come i giocatori di una squadra, i dirigenti di una federazione, un pubblico di uno stadio o una coppia di Duchi che, in quanto limitati numericamente, non possono essere considerati rappresentativi di un popolo.
Stabilito questo e archiviati ormai i dati statistici di una finale, con coppa meritatamente tornata a casa - perché il trofeo Henri Delaunay, è bene saperlo, dal 2008 lo forgia un prestigioso argentiere di Avellino, con cui ho di recente scambiato qualche telefonata e che spero di poter presto intervistare per le pagine di www.asolacalcio.it .

Prima lo producevano le gioiellerie reali Asprey, in Bond Street, nella zona più elegante di Londra, ma lì non si è mai fermato; curioso, vero?

Sono convinto che i tifosi inglesi si possano ritenere fortunati a non aver dovuto vedere la propria squadra impegnata in un campionato con girone “all’italiana”, nel quale avrebbe navigato a metà classifica (altro che Brexit!), invece che nella serie di incontri a eliminazione diretta - gentili fino in fondo, tolta la gara con la Germania - che l’ha generosamente premiata con la disputa della finale.
Facciamo finta che i giocatori dell’Inghilterra si siano dimostrati fin troppo onesti, nel togliersi dal collo una medaglia immeritata?
In qualsiasi altro caso sarebbe potuta essere davvero una magra figura.

Ancelotti, Capello, Conte, Di Canio, Di Matteo, Lombardo, Mancini, Mazzarri, Ranieri, Sannino, Sarri, Vialli, Zenga, Zola: una squadra al completo, portiere e riserve comprese, formata da soli allenatori di calcio italiani che hanno portato la propria professionalità e la propria competenza in Inghilterra, e chi viene fatto accomodare sulla panchina dei Tre Leoni? 
Il Sig. Gareth Southgate che, visto come è riuscito a valorizzare due giocatori di prima grandezza, come Sterling e Kane, e parecchi altri degni di essere negli undici di qualunque altra squadra, rende inutile ogni commento tecnico.
I Dirigenti della Federazione Inglese avrebbero almeno potuto chiedere agli amici Scozzesi di clonare, dopo la pecora Dolly, anche Sir Alex Ferguson, per avere qualcuno a cui affidare la guida della Nazionale. Sono ancora in tempo per farlo.

In Inghilterra c’è il vanto di aver “inventato” il calcio, cosa peraltro non assolutamente certa - è un’antica disputa con Scozzesi e Gallesi - ma la storia della Nazionale suggerisce che dopo il brevetto ci sia stata scarsa cura, se non nelle squadre di club, e che l’invenzione sia stata perfezionata altrove.

Fino al 1950 mai secondi a nessuno, per la scelta di non si abbassarsi a competere con le altre Nazionali, perché quando c’era nebbia sulla Manica, il Continente era isolato.
Poi, nei successivi 70 anni, una vittoria al Mondiale, gentile omaggio dell’arbitro in finale a Londra, con coppa ricevuta dalle mani di una ancora avvenente Regina Elisabetta, e due secondi posti all’Europeo, uno dei quali, quello di qualche giorno fa.

Se la coppa se n’è andata, per taluni è stata responsabilità dei giocatori di colore, senza tener conto che negli ultimi decenni, prive di quei giocatori, le squadre inglesi non si sarebbero probabilmente qualificate per giocare le competizioni europee e tutt’al più avrebbero potuto far saltare il banco in qualche torneo del Commonwealth.

Le vittorie non sono tutto, più importanti ancora ci sono i principi della cultura sportiva, quella che fa vedere “l’altra parte” come avversario e non come nemico, un avversario da rispettare sul campo, sugli spalti della tribuna e fuori dallo stadio, quella che suggerisce di essere ospitali con chi arriva per la trasferta e quella che suggerisce di tenere un comportamento dignitoso quando si è ospitati.
Quella infine che suggerisce di non oltraggiare una bandiera, di ascoltare in silenzio un inno estero e di rimanere ad applaudire la premiazione dei vincitori e che fa sì che due Duchi di Cambridge accolgano e intrattengano con tutti gli onori dovuti un Capo di Stato, venuto per riguardo ai padroni di casa e anche per assistere ad un importante avvenimento sportivo.

Spiace constatarlo, ma qualche decina di migliaia di Inglesi l’undici luglio ha subito più di una sconfitta: quella meno importante è stata per un rigore parato.


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