QUESTIONE DI CELLULE

Già qualche anno fa, prima dei successi che da qualche tempo contraddistinguono la Germania, coronati ora dalla Coppa più gloriosa, lessi con interesse un reportage sull'organizzazione del settore giovanile del Bayern. La cosa che più mi colpì fu che nella scelta degli allenatori non c'era l'ossessione, che invece da noi è diffusa, di incaricare l'ex giocatore professionista di turno.
Fondamentale per i tedeschi, invece, era valutare realmente le competenze metodologiche e didattiche che servono per il percorso di crescita del giovane calciatore. Le esperienze di carriera possono essere importanti, ma spesso diventano un fardello più scomodo che utile, che costringe gli ex calciatori a convivere con un "fantasma", quello della loro storia calcistica e soprattutto della loro immagine calcistica, di cui loro e molte volte anche gli allievi diventano vittime. Se hanno avuto successo come calciatori, devono dimostrare di averlo anche come allenatori dei giovani, ma il problema è che i fattori che misurano il successo stesso nei due ambiti sono estremamente diversi. Sovente poi compiono l'errore di pretendere dai ragazzi ciò che per loro era naturale, o addirittura ciò che credono che loro stessi riuscissero a fare con naturalezza (spesso la memoria gioca brutti scherzi).
Ho conosciuto diversi ex giocatori professionisti che si sono inseriti nel calcio giovanile come allenatori. Come in tutti i consessi umani, ho trovato molta varietà di capacità, di predisposizione e di approccio al mestiere così particolare e delicato com'è quello dell'insegnamento. Non ho però in nessun modo riscontrato che essere un ex giocatore professionista sia importante o decisivo al fine di essere un buon allenatore di giovani calciatori. Anzi, sono sincero, nella maggior parte delle volte ne ho toccato con mano, come dicevo prima, l'inadeguatezza.
In pochi ristretti casi ho verificato una grande predisposizione all'insegnamento, ma credo che la causa fosse riscontrabile nelle qualità umane (e quindi la carriera calcistica una conseguenza di esse). Sono convinto che il patrimonio di esperienza degli ex giocatori professionisti sia importante per la formazione dei giovani calciatori, ma non nei modi e nelle percentuali attualmente stimate in Italia. Io vorrei che mio figlio, fino a una certa età, avesse un buon istruttore con competenze didattiche derivate da un percorso accademico (Scienze Motorie), più che un ex calciatore con aneddoti sulla sua carriera. E successivamente, diciamo dai 12 anni, fosse accompagnato nel suo percorso da persone che dimostrano qualità nell'insegnamento e dedizione nei confronti del delicato processo formativo; non da coloro che, dopo aver scalato il successo da giocatore, vogliono usare il settore giovanile come nuova rampa di lancio per tornare a gustare il sapore della vittoria.
Non credo che ci si debba lanciare ora in un'affannosa importazione del modello tedesco (come non bisognava farlo per quello spagnolo). Credo che il sistema Italia debba trovare il suo percorso. Tuttavia uno sguardo serio e con consapevolezza critica ad alcuni princìpi dei nostri vicini europei è quantomeno opportuno.
Complimenti alla Germania, che solo due anni fa abbiamo meritatamente sconfitto, per la giusta vittoria.


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