Con grande piacere e una punta di sano orgoglio vi propongo un contributo della mia amica, nonché coetanea e compagna di liceo, la Dottoressa Silvia Magnaldi.
Una luminosa carriera ospedaliera, radiologo tra Trieste, Vienna, Udine, Bergamo: un’eccellenza nella vita e nello sport.
Paolo Balbi
Da ex atleta (pallavolo, numerosi campionati tra serie A e B, all’età della pietra), mi sono sempre chiesta se aver sacrificato tante ore in palestra a ripetere all’infinito gli stessi gesti tecnici e seguire regole ferree tra i 12 e i 30 anni mi abbia dato o tolto qualcosa, oppure sia stato solo un mezzo per proteggermi dai pericoli della vita, come credo pensassero i miei apprensivi e severi genitori.
Con il passare degli anni il mio amore per lo sport (qualsiasi genere di sport, anche se con alcune preferenze) è aumentato, ma necessariamente cambiato, e mi sono interessata sempre di più alle relazioni tra lo sport e il resto della vita (scuola, lavoro, amicizie, amore ecc…).
Ho ammirato ed ammiro chi parla e scrive di sport con passione e competenza e continuo a commuovermi di fronte ai gesti atletici (meglio se perfetti), a prescindere dal risultato (anche se vedere o partecipare alla gioia incontenibile di chi vince è bellissimo).
Tra i molti che leggo, ascolto e ammiro, i miei preferiti sono Flavio Tranquillo e l’accoppiata Gianni Clerici e Rino Tommasi in televisione e Julio Velasco, Mauro Berruto e Paolo Condò sul web, sulla carta stampata e dal vivo. Mi piacciono anche perché sono attenti al contorno e al forte contenuto simbolico dello sport.
Non ho certezze scientifiche, ma penso di saper riconoscere chi ha praticato lo sport in modo serio o per lo meno continuativo (tanto da introiettare alcune regole).
Chi ha fatto e fa sport sa che si è deciso prima come si gioca (ci sono delle regole) e che ci vogliono alcune abilità specifiche e molto spirito di sacrificio. Chi lo ha fatto in modo sano e senza barare sa che lo sport insegna dei valori, come la lealtà e la solidarietà, ma anche a confrontarsi con l’errore, con la sconfitta e con il riconoscere che un altro è più forte e più bravo.
La sconfitta è il punto cruciale e, nelle mani di buoni maestri, dovrebbe diventare uno stimolo a migliorarsi sul campo ma anche a maturare individualmente, lavorando sui propri limiti e possibilmente sul loro superamento: “scelgo, sbaglio, capisco, rifaccio” come dice Luca Zannese, altro Professore che insegna contenuti.
Cosa ci portiamo dello sport nella vita reale, soprattutto se scegliamo una professione di aiuto (Medico, Fisioterapista, Infermiere, ecc…)?
Molto, credo. Nel mio caso lo spirito di servizio, la costanza nei tentativi di migliorarmi, studiando sempre, il continuo desiderio di lavorare in squadra e, purtroppo, una grande severità con me stessa e con gli altri.