Volta la carta

REGOLE E ETICA

imagesDa buon Triestino, sento le regole non come una limitazione, ma come una garanzia: tracciano la misura entro la quale posso aspettarmi che si muova il mio prossimo - selvaggi a parte - e solo di conseguenza quella entro la quale mi muoverò io.

Mai come in una recente capatina nella mia città sono riuscito a unire l’utile al dilettevole, ho infatti rivisto con molto piacere una persona che non incontravo dai tempi del liceo, con la quale, tra le tante cose, per deformazione professionale ho avuto modo di parlare anche di calcio, perché, guarda caso, ha un figlio che aveva iniziato la sua attività sportiva con una breve esperienza nel calcio, da pulcino, in una storica società triestina, e aveva avuto l’occasione di assistere ad una seduta di allenamento: alla bestemmia urlata in faccia al bambino dall’istruttore, non ha esitato a far presente che tali trattamenti li avrebbe potuti ottenere anche senza pagare una quota di iscrizione e che suo figlio non avrebbe mai più giocato a calcio, ma che sarebbe stato agevolato nella scelta di un qualunque altro gioco di squadra, esperienza giudicata complementare all’educazione scolastica e familiare per la socialità di un bambino.

Non posso biasimare il genitore che, pur scettico per la prima scelta del figlio di uno sport - che fa molto parlare di sé per violenza, doping, organizzazioni malavitose che gli ruotano attorno e lo condizionano, il tutto condito con denaro, tanto denaro o debiti, tanti debiti e pochi comportamenti in sintonia con lo spirito olimpico - ha tuttavia dapprima assecondato il figlio, ma ha poi reagito all’oscenità, estirpando il male alla radice; magari, se mi avesse rincontrato prima, avrei potuto suggerire un’altra società e un altro istruttore, ma ormai era andata così.
Ora il bambino gioca con passione a pallacanestro, si diverte e per fortuna, di quelle lezioni non glie ne sono più state impartite.
Sono certo che se quella società si fosse dotata di un codice etico chiaro, il più possibile completo, condiviso ed accettato da dirigenti e tecnici, un tale episodio increscioso non si sarebbe verificato, perché delle regole l’avrebbero anticipato.

Noi tutti possiamo ringraziare quell’istruttore e quella società per aver fatto allontanare definitivamente un ragazzo dal nostro gioco e probabilmente gli abbandoni per questi motivi non sono poi tanto rari, vediamone le conseguenze: ragazzi che devono ripiegare su una seconda scelta, quando non sulla play-station, genitori più che mai convinti dell’inadeguatezza dell’ambiente del calcio, società con un’informazione indesiderabile sul proprio biglietto da visita e istruttori, nel migliore dei casi campioni tra “coni e cinesini”, ma certamente disastrosi come educatori, resi più forti nelle proprie convinzioni.

Con incredulità, seguita da delusione, ho potuto constatare come anche nel Progetto Punti Brescia, definito un tempo un tentativo di novella Arcadia, il concetto di codice etico riesca a far storcere il naso a più di qualcuno, probabilmente proprio a quelle persone che nella vita di tutti i giorni dalle regole si sentono limitate, anziché garantite, e nei confronti dell’argomento non venga applicato il criterio di “progetto a due velocità”, valido solo per le attività sul campo.
Non che io sia mai stato d’accordo con l’idea delle due velocità: l’ho sempre giudicata un concetto infelice, arrogante e inopportuno e un possibile segno, che al momento non parrebbe presagire nulla di buono per le società meno organizzate.

Una provocazione: ma se proprio si vuole adottare la legge della giungla, perché non avere il coraggio e la coerenza di farlo integralmente, relegando di conseguenza a cenerentole del progetto quelle società nelle quali manca la capacità o la volontà di dotarsi di regole comuni, a differenza di altre?

La scelta naturalmente non mi troverebbe d’accordo, ma almeno denoterebbe personalità.


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