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GENITORI: ISTRUZIONI PER L'USO

Genitori 4La complessità della società in cui viviamo, la frenesia della quotidianità, la ricerca di realizzazione personale di entrambi i coniugi, il desiderio di soddisfare a priori i propri sogni e bisogni, i diversi e spesso inconciliabili impegni assunti all’interno del nucleo familiare, la difficoltà pratica delle famiglie separate o l’incomunicabilità delle famiglie “di facciata”, hanno legittimato l’uso di delegare in modo sempre più frequente l’educazione dei propri figli ad altre componenti della nostra realtà. 

Il percorso formativo della crescita è demandato, quindi, alla scuola o alla società sportiva, agli insegnanti e agli istruttori, ai nonni piuttosto che ai capi scout, agli animatori del ricreatorio comunale o ai preti della parrocchia. In questo modo troppo spesso il genitore vive e segue soltanto marginalmente la crescita del proprio ragazzo, accorgendosi de relato dei cambiamenti e delle problematiche, sulla base di quanto riscontrato da terzi. 

A volte, nel peggiore dei casi, oltre a delegare l’attività, non si preoccupa neppure di controllare il delegato: «se è là, significa che fa bene e, fintanto che non emergono problemi, vuol dire che non ce ne sono proprio». Per contro, ci sono famiglie che intervengono attentamente nella vita dei propri figli: non si limitano a scoccare la freccia e a seguire o a facilitare il raggiungimento del bersaglio, ma cercano piuttosto di pilotarla con costanti interessamenti, attraverso percorsi programmati, anche per realizzare i propri sogni e desideri mai realizzati in gioventù. 

Quale tipo di genitore si trovi di fronte l’allenatore all’inizio di una stagione sportiva è davvero una grande incognita che, trova risposta, spesso, a stagione iniziata. Anche se la prima impressione si può rivelare corretta o idonea a influenzarci, è preferibile non essere affrettati nel formarsi un’opinione o nell’assumere dei comportamenti di chiusura difficilmente rimediabili. 

Al primo approccio, potremmo trovarci di fronte a diverse tipologie di genitori. Eccone alcune: 

Genitori preparati, consapevoli del proprio compito di educatori, che vivono lo sport nel rispetto dei reciproci ruoli, limitandosi a seguire e incoraggiare il proprio figlio dall’esterno, segnalandone e intervenendo sugli eventuali disagi.

Genitori che “puntano” sul figlio per cercare di superare la loro insoddisfazione o la mancata realizzazione di promesse sportive giovanili infrante troppo presto e non mantenute sempre per colpe altrui.

Genitori disinteressati che, alla prima riunione, a braccia conserte, non partecipano veramente all’incontro, non prestando attenzione ai contenuti, magari presenti semplicemente perché “catturati” da altri genitori o obbligati: a chi non è mai capitato di essere stato coinvolto in riunioni all’ultimo minuto, incastrato tra mille impegni, distolto da altri interessi più appetibili? Perché rinunciare aprioristicamente ad attirare anche la loro attenzione, cercando di costruire qualcosa grazie al loro coinvolgimento? 

Genitori “curiosi” semplicemente di conoscere il nuovo istruttore o di mettersi in luce per poi non farsi magari più vedere nell’intero arco della stagione sportiva.

Genitori giudici severi, pronti a mettere in difficoltà l’allenatore per sondarne la competenza e la capacità: anche di fronte a un atteggiamento negativo o solo apparentemente ostile, l’allenatore potrebbe trovare spunti per un confronto e per crescere.

Genitori invadenti, intenti nell’accattivarsi le simpatie del mister «Posso offrirti da bere?» «Dai, diamoci del tu, in fondo siamo quasi coetanei»: a queste richieste è preferibile rispondere garbatamente che il reciproco rispetto non si giudica dal darsi del “tu” o del “lei” per cui, se ritenuto conveniente, è possibile pure continuare a darsi del “lei”, dal momento che tempo ed occasioni per modificare l’atteggiamento non mancheranno mentre, diversamente, ritornare sui propri passi, risulterebbe alquanto ridicolo.

Genitori apprensivi, ipercritici o addirittura “fashion addicted”, come evidenziato da un approfondimento di Sara Rossi e Giulia Spagnesi: i primi, permettono al figlio di praticare uno sport solo perché spinto dalle pressanti richieste del pediatra e, di conseguenza, non sono assolutamente convinti che quello che “il loro bambino” sta facendo possa davvero migliorare la sua salute e, anzi, sono piuttosto terrorizzati dalle conseguenze negative «Con tutto quel sudore al primo colpo d’aria mi prende la polmonite»; i secondi, invece, tendono a colpevolizzare il proprio figlio degli insuccessi agonistici, imputando a lui la responsabilità della sconfitta - mai agli arbitri, né all’allenatore, né alla qualità dell’avversario – e non si accontentano di una buona prestazione e credono che il successo sia sempre migliorabile e comunque un dovere del proprio ragazzo; il genitore fashion addicted, infine, spicca tra gli altri genitori per lo stile impeccabile dell’abbigliamento e degli accessori, è sempre super informato sulle ultime tendenze e veste sempre come se dovesse sfilare per i maggiori stilisti, come del resto il proprio figlio è facilmente individuabile in quanto se ha una divisa fornita dalla società, il suo punto forte saranno le scarpe, più di un paio a stagione, in base ai ritrovati tecnici e all’abbinamento, ecc…

 

Anche se alcune tipologie sono state descritte in chiave negativa e volutamente grottesca, un genitore è una risorsa importante per l’allenatore e spetta sempre all’allenatore la paziente ricerca di come utilizzarla nel modo più appropriato. Proviamo semplicemente a pensare, al lato veramente pratico, all’importante compito che i genitori assolvono accompagnando i ragazzi alle sedute d’allenamento e alle gare!

E’ proprio il momento in cui i genitori non sono mai presenti che altre e diverse problematiche si presentano a intralciare il lavoro dell’allenatore nelle società dilettantistiche, ad esempio, costringendolo a dover coordinare in prima persona i trasporti e i ritrovi, a comunicare telefonicamente le variazioni degli impegni, e infine a rincorrere proprio quei genitori per relazionarsi con loro sui loro figli. L’assenza, spesso giustificata da oggettive o sopravvenute difficoltà, diventa qualitativamente e quantitativamente “pesante” laddove dipenda dal mancato riconoscimento da parte della famiglia del valore formativo dello sport. In altri casi, invece, è proprio l’eccessivo presenzialismo, a volte persino assillante e invadente, a creare imbarazzo e altre difficoltà, tanto all’atleta quanto all’allenatore, spesso causa di abbandono precoce per gli uni quanto per gli altri.


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