Tango, Samba e Beat: pagine scelte

FUORI AREA Autori Vari

Fuori area

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Ecco, finalmente Beat!

Le origini: per cortesia, non facciamo ora sfoggio di erudizione, se ne potrà trattare prossimamente a parte, e lasciamo alle enciclopedie i giochi che forzatamente sono stati accostati al calcio nella storia, in Cina, Giappone, nell’antica Grecia, presso i Romani o a Firenze; riconosciamo invece ai soli Inglesi il merito di averlo sperimentato e, prima di esportarlo ovunque, codificato con regole condivise, le Regole di Cambridge, nel 1848: solo da allora sarà Football.
In Gran Bretagna nasce come sport esclusivo, riservato alle classi più abbienti, d’altra parte all’epoca chi non apparteneva a quelle classi aveva tempo quasi solo per lavorare e morire e certamente non sentiva l’esigenza di integrare l’attività fisica correndo dietro ad una palla.
Sport e Turismo, simili nell’etimologia, sono attività che si sviluppano solo quando sono garantite delle condizioni sociali di base.

Da dopo la metà dell’800 in poi però il nostro gioco brucerà le tappe e si affermerà in Gran Bretagna, prima nel Nord, poi anche a Londra, con la costituzione dei Football Club, primo lo Sheffield F.C. nel 1857, società da sempre dilettantistica, ancora attiva in una categoria che in Italia potrebbe essere la Seconda; da quel momento progressivamente il gioco si radica in una nuova classe sociale: nelle squadre gli operai si mescolano ai gentlemen, la democrazia inglese era già solida.

Fuori Area è un’antologia di 25 racconti di altrettanti autori anglosassoni, uno spaccato per certi versi giornalistico del mondo del calcio inglese, o più semplicemente del mondo inglese, perché lì il calcio si respira, si vive, non è un luogo comune che tuttora allo stadio ci vadano le famiglie: spettatori abbonati da generazioni, competenti, che indossano abitualmente i colori della propria società, che sostengono la propria squadra anche in circostanze che in Italia farebbero temere dei linciaggi e che accettano le decisioni arbitrali, al pari del verdetto del campo, perché facenti parte del gioco.
Il fenomeno dei Hooligans è isolato, per lo più debellato, e paragonabile alle tifoserie estreme, quasi sempre politicizzate, anche se dubito che possano avere una coscienza politica, che si possono incontrare ogni domenica allo stadio.
Lo spirito del quale i nostri amici rugbisti abitualmente si vantano, nel calcio anglosassone c’è sempre stato; peccato che quanto a spirito e cultura sportiva il nostro calcio nazionale, quello professionistico in particolare, sia invece saldamente incatenato su posizioni distanti anni luce.

“…Una squadra di calcio dovrebbe essere un modello di comunità utopistica – stava dicendo adesso agitando le braccia – Tutti gli elementi devono lavorare insieme per servire il Bene Comune. Voi siete undici uomini con un singolo obiettivo. Come le varie parti del corpo, ragazzi, cercate di capirmi. E tutti coordinati dall’azione di una Mente centrale…”

“… Il calcio puoi giocarlo in tanti modi: c’è la Premier League, ma ci sono anche quelli che lo giocano senza neppure avere le magliette e senza nemmeno un campo segnato. La differenza fondamentale tra i professionisti e tutti gli altri – quelli che consumano i loro sogni di successo sui campi sperduti dell’intera Inghilterra – non è tanto il talento, quanto una sostanziale questione di temperamento…”

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