COME FU CHE BOBBY MOORE POTE’ SOLLEVARE LA COPPA RIMET

picklesMi presento, il mio nome è Pickles, ero un incrocio di Border Collie – anzi, finché qualcuno si ricorderà ancora di me, continuerò ad esserlo – con l’argento vivo addosso, scattante come una molla e con una smodata passione per i giardini e i gatti londinesi.

Faccio fatica a comprendere il motivo di tanto interesse nei miei confronti: me l’hanno spiegato, ne prendo atto, ma proprio non lo giustifico.

A suo tempo, per l’eccessiva invadenza, avevo rifiutato di parlare di quella vicenda con Osvaldo Bevilacqua, un giornalista italiano, quello conosciuto per le sue Interviste Impossibili; mi aveva detto di aver avuto tra i suoi ospiti Marconi, Pirandello e Leonardo da Vinci: italiani, tutti nomi che mi dicono poco ma, sapete, soprattutto quando c’è nebbia sulla Manica, il Continente è isolato.

Con questi dell’Asola Calcio, invece ho fraternizzato subito, loro ci sanno fare e poi non sono di quelli che banalmente affermano che per niente non muove la coda nemmeno il cane!

Tutti vogliono sapere di quei giorni lontani, a cavallo tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera, è stato nel 1966.

L’aria era frizzante di musica, quattro ragazzi inglesi mal tosati erano all’apice del loro successo e avevano già conquistato il mondo; e le ragazze, con le loro minigonne sembravano ancora più sorridenti.

Tra musica, minigonne e aria di primavera, mi godevo quella passeggiata fino ai giardini a Beulah Hill, dove il mio accompagnatore, il Signor David Corbett, mi lasciava libero di dare sfogo a tutta la mia voglia di correre e anche rincorrere, quando avevo la fortuna di trovare qualche gatto.

Ma quella domenica mattina, era il 27 marzo, niente gatti; dopo qualche minuto di corse a galoppo radente e cambi di direzione con relative sgommate, come di consueto ero impegnato in una minuziosa perlustrazione di ogni aiuola e ogni albero, un po’ per marcare il territorio, che non fa mai male, un po’ per la mia innata curiosità e sempre con la speranza di scoprire qualcosa di nuovo.

Trovai presto la novità: un pacco avvolto nel Daily Mirror, semisepolto ai piedi di un cespuglio, che attirò subito la mia attenzione.

 

Onorato il ritrovamento con qualche sonoro latrato, fu un attimo lacerare la carta e scoprire la sorpresa: non era una pallina, né una pantofola, niente odori stimolanti, ma solo due ali con piume fredde e dure e l’immobilità di una statua!

Addentai comunque quella strana cosa, la sollevai, era pesante e la sensazione fu sgradevole. 

Ci pensò David poi a raccoglierla e sollevarla a sua volta. 

Grande delusione, e un po’ di commiserazione per il mio accompagnatore, che invece si dimostrò alquanto eccitato alla vista dell’oggetto.

A Londra non si parlò d’altro per settimane, per un po' mi ritrovai catapultato tra le celebrità canine, in compagnia della mia lontana e aristocratica cugina Lassie e di un tipo d'oltre oceano, rustico e dal buffo nome di Rin Tin Tin. 

Mi raccontarono poi che “lei”, la cosa che avevo trovato, perché era una lei, aveva nome Victory, ma che da vent’anni tutti ormai chiamavano Coppa Jules Rimet, un francese che a suo tempo ne era stato il committente: 1.800 grammi d’oro fusi nel 1929 da Abel Lafleur, un orafo, francese anche lui, allievo della scuola di un certo Louis Cartier, neanche a dirlo, sempre francese.

Mi dissero che da tutto il mondo in tanti accorrevano per giocare e tentare di sollevarla, per poi portarsela in giro, correndo sull’erba: ci erano riusciti fino a quel momento gli uruguayani Nasazzi - il primo - e Varela, gli italiani Combi e Meazza, il tedesco Walter e i brasiliani Bellini e Ramos, ma mai nessun inglese, tolto naturalmente il mio David.

L’immagine degli umani che corrono sul prato mi riconciliò con l’oggetto inutile e cominciai a considerarlo con simpatia. 

Quella coppa era stata portata a Londra proprio perché finalmente un inglese potesse giocare per sollevarla e portarsela in giro, correndo su un grande prato a Wembley.

Giunta a Londra, fu esposta in una bacheca, al centro di una mostra di francobolli a tema sport, allestita dalla prestigiosa casa Stanley e Gibbons, nello sfarzo della Central Hall di Westminster e da lì, durante la pausa caffè dei Bobbies, rubata e quindi nascosta e interrata tra i cespugli di un giardino; subito Scotland Yard “sguinzagliò” centinaia di Bobbies, ma tutto si risolse in modo assolutamente casuale, come capita spesso per le cose più importanti, quella mattina, in quel giardino, senza nemmeno un gatto da rincorrere, solo quando fui sguinzagliato io; il resto lo sapete già. 

bobby e regina 2

bobby e regina 2

Pochi mesi dopo tutto andò esattamente secondo le aspettative: a Wembley si misero a correre in più di trecento e alla fine, dalle mani della nostra graziosa Regina, Victory fu affidata proprio ad un inglese, tale Bobby Moore, che manifestò la sua contentezza sollevandola e portandosela in giro, correndo su quel gran bel prato.

Assieme a lui furono contenti tutti gli inglesi.

Pickles e Dave Corbett

Pickles e Dave Corbett

 

   

Per la grande occasione ci fu un banchetto, al quale fui invitato anch’io, e lì ebbi il mio premio – un bel pezzo di carne – per aver trovato quella cosa; anche David ebbe un premio: 5.000 sterline per avermi portato a correre in quel giardino! 

   

Fu un bel periodo, ovunque vedevo le mie fotografie, quando andavo a spasso per Londra, tutti mi riconoscevano, mi chiamavano per nome, mi accarezzavano, si fermavano a giocare con me e David acquistò una casa nuova, con un bel giardino.

 

 

 

L'anno successivo, durante una passeggiata con il figlio di David, avvenne che proprio in un giardino un gatto incrociasse il mio destino.

Lo vidi e fu un attimo; con uno strattone mi liberai dal guinzaglio e mi gettai all'inseguimento, quando il gatto cercò rifugio su un albero, non mi fermai e spiccai uno dei miei salti più atletici.

Fatalmente il mio collare si impigliò in un ramo. 

Ve l'avevo detto, avevo l'argento vivo addosso, scattante come una molla e con una smodata passione per i giardini e i gatti londinesi.

In confidenza, quella ce l’ho ancora.Impronta

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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